La recensione di "Transformers One", di Josh Cooley nelle sale dal 26 Settembre distribuito da Eagle Pictures

Recensione a cura di Mario Turco

Difficile essere un episodio di una saga hollywoodiana oggi. Ti viene chiesto di continuare a macinare incassi come e più dei tuoi predecessori, ti viene demandato di essere un trampolino di lancio per la carriera di registi magari emersi nell'indie e che chiedono spesso con arroganza di portare la loro autorialità dentro il sistema, ti viene imposto di evolverti alla stessa velocità del dibattito pubblico ma mantenendo salde le tue peculiarità, ti viene assegnata la doppia e contraria esigenza di accontentare vecchi e nuovi fan. E se fallisci in questi propositi rischi di affossare la gloria del franchise cui appartieni, con l'ulteriore onta di passare magari alla storia come “Lo squalo 4” della tua proprietà intellettuale. 


Forse meno gravato di aspettative rispetto al discorso appena enunciato ma in ogni caso attraversato da simili tensioni, "Transformers One" di Josh Cooley distribuito da Eagle Pictures il 26 settembre 2024 era chiamato a ravvivare una saga che, dopo gli straordinari capitoli firmati da Michael Bay, s'era un po' ammosciata verso sequel e retcon di minore impatto. Ecco allora che la scelta di virare verso un capitolo uno - come da titolo, ma che potrebbe essere zero visto che in realtà ne riscrive le origini - in animazione, interamente realizzato in grafica computer 3D dalla Industrial Light & Magic e doppiato da più un paio di star statunitensi, poteva sembrare una scelta interlocutoria per i destini dei robot della Hasbro. Ed invece il film di Cooley è un coraggioso e riuscito passo laterale che s'avvale dell'esperienza Pixar del suo autore, licenziatosi in modo brusco dallo studio dopo il successo di Toy Story 4, per far tornare i mecha statunitensi ad uno spirito più avventuriero e meno orientato a logiche di mercato. Transformers One mutua l'onnipresente multiverso delle forme audiovisive di questo ventennio e racconta una storia che vede i due protagonisti più famosi del franchise, l'eroe Optimus Prime e il villain Megatron, che da fratelli e compagni d'armi diventano ben presto gli acerrimi nemici che abbiamo imparato a conoscere in tutte le loro escursioni multimediali. Il lungometraggio infatti si svolge in un universo parallelo, separato ma simile a quello della saga live-action, ed è ambientato su Cybertron ben 3 miliardi di anni prima dell'arrivo degli Autobot e Decepticon sulla Terra. Ecco che questa libertà temporale e cronologica permette al regista di mantenere soltanto ciò che è funzionale al suo racconto (l'importanza dell'Energon, i mostruosi Quintessenziali, la caratura morale dei Prime) e, di converso, dare maggiore importanza ad aspetti originali. 


Rendendo Orion Pax e D-16 due minatori “senza-ingranaggio” non in grado di trasformarsi, Cooley nella prima parte riesce con abilità e mestiere a far parteggiare lo spettatore per questi lavoratori che risiedono, anche fisicamente, agli ultimi livelli della scala sociale robotica, così simile come sempre a quella umana. Il cammino fantascientifico (da questo punto di vista, il film si adagia su scenografie digitali ampiamente rimaneggiate che vanno da Blade Runner a Star Wars) di questi eroi, però, è meno banale del previsto: lo spostamento dell’attenzione dall’ottimismo baldanzoso ma noioso di Orion Pax a quello via via sempre più arrabbiato e radicale di D-16 dona un’inusuale ed empatico punto di vista sulla galattica rivalità tra Optimus Prime e Megatron. Solo dopo aver portato ad ebolizzione la caduta della democratura dell’autarca Sentinel Prime (qui cromaticamente rivisitato in un opulento giallo-azzurro che farà felice i collezionisti dei giocattoli), Transformers One si lascia andare alla baraonda di scontri e clangori metallici che ci si aspetta dal franchise. Pur senza arrivare a ridefinire nuovi standard in questo campo, i combattimenti di questa animazione così ricca sono visivamente appaganti funzionando allo stesso tempo da antipasto per il reset di una saga che potrebbe tornare definitivamente su lidi digitali privi di inani umani. Perché il segno di questi tempi cinematografici è l’antispecismo che anche su schermo da un respiro autonomo alle forme di vita biomeccaniche.

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