La recensione dello spettacolo teatrale "Anelante", di Rezzamastrella al Teatro Vascello di Roma fino al 19 gennaio
Recensione a cura di Mario Turco
Anelante, produzione La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello e naturalmente tassello dell'opus Rezzamastrella, possiede difatti un furore iconoclasta che non ha mai un attimo di cedimento, raggiungendo picchi straordinari nella dionisiaca danza tribale e orgiastica con cui i protagonisti si fanno cacciare da Londra per sodomie e masturbazioni varie e ripetute. In una scenografia apparentemente priva dei soliti giochi prospettici firmati da Flavia Mastrella ma in realtà ritagliata in moduli spostabili e scomposti in un delirio che può diventare a seconda delle scene futurista, dadaista, cubista, Rezza devasta con opere e parole molto dello scibile umano: la matematica, la scienza, la religione (“Quando uno c’ha culo non ha bisogno di Dio”), la famiglia, il sesso, la politica dei vari G20 e a scalare, la vecchiaia (“Come se la vecchiaia meritasse rispetto” che chiude il ragionamento cominciato con un altrettanto dileggiante “L’utopia della pensione è puro fanatismo”) e, soprattutto, la psicanalisi di Sigmund Freud. Nella splendida scena che svela la truffa modernista perpetrata dal neurologo austriaco vengono passate in rassegna con un puntuto ma argomentato ragionamento d’intellettuale cinico molte delle sue bassezze: da un “è squallido, gioca sulle coincidenze Freud” allo sfinimento con cui accalappia i suoi pazienti dello ieri e dell’oggi fino alla catartica battuta “- A te ti piace tuo padre, ti piace tua madre. - E certo, sto a carico loro a cinquant’anni, anzi li amo proprio!”.
Per tutta la sua durata Anelante scortica e poi rabbuffa, motteggia e poi mena come un maglio, distrugge e apre spiragli di poesia. La crisi eterna della famiglia (“La casa è focolaio di tragedie”) e dell’io (“Io sono la prova del male che può fare la provincia”) ballano allora insieme al poetico monologo del logorroico che “dorme a voce alta” e non riesce a leggere perché non si arrende al silenzio che un altro, l’autore del libro, vorrebbe imporgli a casa sua. In questa altissima carrellata di personaggi e situazioni – la scrittura del testo è una delle migliori che Rezzamastrella abbiano mai fatto – il notturno e acquatico finale del palombaro che prima sembra ripudiare il padre (“Papà è la faccia laica di ‘stocazzo”) per poi infine invece ricusare la “germanica” madre (“Mamma profuma di possesso”), colpevole degli isterismi borghesi di una genitrice qualunque, lascia con un artaudiano boccone che è difficile da digerire anche dieci anni dopo la sua ideazione. Con Anelante anche la crudeltà diventa di una bellezza anelante.