La recensione di "Elio", di Domee Shi e Madeline Sharafian, nelle sale italiane dal 18 giugno grazie alla distribuzione di The Walt Disney Company Italia
Recensione a cura di Mario Turco
Ventinovesimo lungometraggio della Pixar, il film mostra lo stato di salute dello studio d'animazione statunitense che, nonostante gli ormai storici travagli produttivi di tanti suoi prodotti, riesce ancora una volta a mantenersi connesso con lo zeitgeist del tempo mostrandone limiti attuali e scorci inattuali di ottimistica speranza. E anche se l'iniziale scintilla creativa è ormai diventata una sottomarca riconoscibile da acquistare nell'impero GDO disneyano - col disdoro che questo film è dichiaratamente merce di consumo ad uso del pubblico più piccolo anagraficamente o più infantilmente alfabetizzato (le due cose non sempre coincidono) - Elio riesce a ritagliarsi lo spazio per un discorso arguto e stimolante sulla condizione di quei bambini sognatori che in fondo siamo quasi tutti. Il film comincia in un modo che raramente è stato più esplicito, come se dovesse risolversi nell'arco della durata di un cortometraggio: il protagonista è infatti un bambino orfano di 11 anni che vive insolentemente con la zia Olga, tecnica dell'esercito degli Stati Uniti addetta al controllo dei detriti spaziali. Sentitosi quindi solo per la perdita improvvisa dei genitori, Elio cerca di fuggire dal suo perdurante trauma cercando fuori dal nostro pianeta altre forme di vita con cui interagire. I suoi comici tentativi di farsi rapire dagli alieni falliscono invariabilmente fino a quando un suo messaggio viene captato veramente da alcuni extraterrestri che lo portano nel Comuniverso, un'organizzazione interplanetaria con rappresentanti di galassie lontane. Qui il piccolo riesce addirittura a farsi passare per il leader della Terra diventandone subito ambasciatore. Ma quando la minaccia rappresentata dalla razza aracnoide più aggressiva del consesso esplicita di voler sottomettere l'intero Comuniverso toccherà proprio al simpatico lestofante, insieme a un suo nuovo incredibile amico, salvare l'equilibrio dell'universo...
Elio è un'avventura sci-fi che piega ancora una volta un genere cinematografico fortemente riconoscibile per imbastire un percorso di crescita tipicamente pixariano. Probabilmente il fatto più interessante di quest'operazione è rappresentato dal fatto che il conflitto interplanetario oggi sembri, più che una guerra dei mondi wellsiana, uno scontro tra case regnanti alla Game of Thrones o una bisboccia supereroistica. Il caleidoscopio galattico richiama sin dal nome il multiverso marveliano e, pur brillando per inventiva scenografica, non è difatti più bislacco dei viaggi asgardiani di Thor o dei buchi dimensionali aperti da Miles Morales. Il problema principale del lungometraggio è che si ostina a non voler mai tentare qualcosa in più che l’elementare solleticamento del riso o del pianto, facendo in modo che anche i succitati lampi metaforici sulla solitudine del protagonista siano funzionali al fiabesco lieto fine. Ecco che ad una prima parte rutilante, piena di world-building fantascientifico e colorato, Elio le contrappone una seconda inevitabilmente terrena che si serve di alcuni meccanismi dramedy di fattura poco ispirata. L’unione dei radioamatori di tutto il globo che aiuta il protagonista e la zia ad evitare i rottami dello spazio rimane infatti solo una scena tensiva che perde allora l’occasione anche di una semplice battuta sull’immondezzaio che è diventato l’orbita spaziale a noi più prossima. Se il piccolo Elio impara a (ri)trovare la propria famiglia negli affetti più bistrattati a nulla gli servono però il traduttore di lingue interstellari e lo scampato armaggedon universale: un satellite dismesso non si può ravvedere come un padre insettoide. A differenza dell’amore e dell’orgoglio di un genitore, l’abbandono di un detrito supera le generazioni.