Recensione: Quentin Tarantino. Biografia a fumetti, con testi di Michele Botton e disegni di Bernardo Santiago Acosta

Titolo:
Quentin Tarantino. Biografia a fumetti
Autore: Michele Botton, Bernardo Santiago Acosta
Editore: 24Ore Cultura
Pagine: 128
Anno di pubblicazione: 2025
Prezzo copertina: 18,00 €

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Recensione a cura di Mario Turco

Written e directed by Quentin Tarantino. Quello che dovrebbe essere uno dei credits di un film e che invece è diventato una t-shirt da esibire in festival, rassegne e cinema racconta tanto del mito che è ancora adesso il regista statunitense. La rockstar più planetaria della settima arte, quella adorata anche da chi frequenta saltuariamente una sala e quelle rare volte che lo fa ci tiene ad esibirlo sui social, è sempre stata attenta a costruire la propria immagine facendola vertere prettamente sul suo sconfinato amore cinefilo piuttosto che sui suoi amori e drammi familiari, come dimostra l'autobiografia uscita anche in Italia nel 2023 “Cinema speculation”. Ma è con le opere non ufficiali che si può tastare il polso della ricchissima eredità transmediale che ha avuto e ha un autore che, soprattutto nella prima parte di carriera, è stato tacciato apertamente di ladroneria intellettuale. 


Ecco che "Quentin Tarantino. Biografia a fumetti", con testi di Michele Botton e disegni di Bernardo Santiago Acosta pubblicato da 24 Ore Cultura Comics, fornisce l'occasione di cogliere un punto di vista laterale ma sicuramente interessante sulla vita di uno degli interpreti più importanti dell'onnipresente cultura pop. Il bollino "non ufficiale e non autorizzato" che campeggia obbligatoriamente, per ovvie ragioni di copyright, sulla copertina indica subito i limiti di un'operazione che non può vantare chissà quale rivelazioni o linee interpretative sconvolgenti. Come scritto infatti nell'introduzione, chiamata un po' fandomicamente "Il cammino di un grande regista" (il riferimento è al passo biblico di Ezechiele citato da Jules in Pulp Fiction), "in questa biografia a fumetti la sua vita è raccontata in uno stile che rimanda a quello di Tarantino [...] Un avanti-indietro a livello temporale che fornisce, una volta giunti al termine, una visione complessiva del personaggio". La scelta dei due autori verte allora sulla volontà di sfruttare uno dei tratti distintivi del cineasta - ovvero la suddivisione in capitoli non cronologici, in questo caso quattro - e adeguarla alla narrazione per tavole disegnate. Potendo contare però su 127 pagine, il problema di questa frammentazione sta proprio in questa angusta episodicità che può concedersi soltanto la libertà di visualizzare note biografiche arcinote (“il master in cinematografia” conseguito come commesso alla videoteca Manhattan Beach di Los Angeles, l’ideazione del soggetto di “Kill Bill” insieme a Uma Thurman durante la lavorazione di Pulp Fiction, il furto giovanile di “The Switch”, di Elmore Leonard dalla biblioteca, scrittore che ripagherà in seguito sfruttando “Rum Punch” per la regia di “Jackie Brown”) all’interno di un contesto finzionale che si diverte a ricreare situazioni verosimili partendo da dati reali (le punzecchiature al bar tra lo stesso Quentin Tarantino, Brad Pitt, Leonardo Di Caprio e Margot Robbie sul set di “C’era una volta a... Hollywood”). 


Così anche alcuni episodi talmente iconici su cui si poteva provare a costruire qualche spezzone fumettistico che vivesse di vita propria e non fosse un resoconto fattuale – la scelta, questa sì, profondamente tarantiniana di rendere la stuntwoman Zoë Bell protagonista di “Grindhouse - A prova di morte” – vengono sprecati in qualche tavola ammiccante ma inconcludente. Dal punto di vista tecnico i disegni volutamente sgraziati e poco dettagliati di Bernardo Santiago Acosta funzionano nella loro istintualità selvaggia ma cozzano con la perizia tecnica di cui Tarantino a livello registico è sempre stato promotore anche nella sua uscita apparentemente più grezza come il dittico di Grindhouse col sodale Rodriguez. Proprio il capitolo che vede i due amici scambiarsi aneddoti davanti una birra è però il più semplicistico e derivativo e fa chiudere in affanno questo biografia a fumetti che alla fine sconta la stessa tara del cinema del regista messicano: non riuscire ad uscire dal cono d’ombra emanato dall'ingombrante corpus cinematografico di Quentin Tarantino.

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