Recensione: Una ragazza nella giungla di Calais, di Delphine Coulin

Titolo: Una ragazza nella giungla di Calais
Autore: Delphine Coulin
Editore: Gremese
Pagine: 228
Anno di pubblicazione: 2019
Prezzo copertina: 16,00 €


Recensione a cura di Mario Turco

La migrazione degli esseri umani è un dato incontrovertibile sin dalla Preistoria. La regolazione controllata dei flussi che l'Europa vorrebbe attuare nei confronti di alcuni individui dalle nazionalità diverse dal bianco (fasullo, nessun uomo è bianco, nemmeno gli albini) è invece un paradosso che denota quanto le sorti del nostro continente non siano poi così magnifiche e progressive. Di fronte agli isterismi assurdamente sovranisti di alcune forze politiche bisogna coltivare con pazienza certosina il difficile mestiere dell'intelligenza. Che non nasce da chissà quale dote innata ma, ad esempio, da un uso capillare della memoria. È per questo che giova adesso e
sempre l'uscita di un libro importante come “Una ragazza nella giungla di Calais”, di Delphine Coulin edito dalla casa Gremese per la collana Narratori Francesi contemporanei. E tradotto da Alessandro Di Lelio

Qualche accenno di cronaca per i tanti (dannati, non beati alla William Blake) smemorati. Sembra passato un ventennio ma era appena il 2016 e a Calais, città della Francia del Nord che s'affaccia sullo stretto di Dover, erano rivolte le attenzioni dei mass-media. Lì da un anno l'accampamento dei migranti che volevano raggiungere la dirimpettaia Inghilterra s'era sviluppato in maniera così massiccia e disordinata da meritarsi l'onta del sostantivo “Giungla”. Il titolo originale del libro, “Una fille dans la jungle”, con la sua assenza di denominazione topografica enfatizza ancor di più lo sconcerto della gente comune di fronte alle fatiscenti condizioni del campo profughi più grande d'Europa. La Coulin, regista tra l'altro del bel “17 Ragazze”, distribuito fortunatamente anche in Italia nel 2011, col suo occhio attento alle dinamiche giovanili racconta in questo libro la storia di 6 ragazzi che cercano di sopravvivere agli sgomberi forzati della baraccopoli provando numerose volte l'assalto ai Tir mercantili in rotta verso l'agognata Inghilterra, un miraggio vicino/lontano 33 chilometri. L'autrice li racconta quando essi sono arrivati già “nella giungla dei poveri. Qui non c'era un solo albero, una sola foglia, né tantomeno il caldo. Niente aveva colore. Era tutto grigio. C'era puzzo di fumo e di spazzatura”. 

Attraverso una narrazione che senza timore va avanti ed indietro nel tempo, apprendiamo i dolorosi eventi di ognuno dei componenti di questa banda cosmopolita e sbrindellata. I mini-capitoli raccontano dell'etiope Hawa che, rifiutatasi di sposare un uomo amico del padre, passa da una schiavitù all'altra fino a trovarsi sulle coste (di lamiere) della Francia. Oppure dei fratelli afghani Jawal ed Ali che hanno percorso migliaia di chilometri a piedi in una traversata tremenda sperando di trovare un parente in Inghilterra che potessi fornirgli il pretesto dell'asilo politico. “Tutto questo succedeva prima di arrivare in Europa, dove tutto sarebbe andato meglio” scrive la Coulin dando forma ai pensieri dei bambini. Solo che non sarà cosi e il racconto dell'autrice senza efferatezze ma con asciutta crudezza insiste su quell'inferno ignominioso. C'è prima di tutto “il fango che sporcava tutto, scarpe, mani, vestiti e si incrostava ovunque, non se ne sbarazzavano mai del tutto”. Ci sono poi le crudeltà che essi stessi si fanno tra loro, sia i bambini che i migranti stessi che tra le altre cose violentano le donne quando la notte si recano nei pochissimi bagni presenti. Ed allora per sfuggire agli stupri tocca imbottirsi i vestiti e farsela addosso, regredendo a condizioni igieniche/infantili che la UE continua a far finta di non vedere nonostante la presenza dei molti volontari di associazioni non-profit. C'è soprattutto la paura, continuamente evocata dalla scrittrice, di ragazzi che sono stati pure torturati in Libia e temono di doverci ritornare, spediti nei lager dove si praticano aberranti forme di torture o nei Paesi di primo approdo che il cieco regolamento di Dublino obbliga loro a dover eleggere come residenza nonostante abbiano i nuclei familiari altrove. 

Delphine Coulin
Una ragazza nella giungla di Calais” racconta quindi gran parte delle contraddizioni accumulatesi nel tempo in queste lamiere di ferro dove le responsabilità etiche cozzano con visioni elettorali a cortissimo raggio. Se la recensione del libro parla al presente di eventi descritti come successi tre anni fa è perché, beh, anche l'Italia ha avuto la sua giungla all'interno di una nave della Marina.

L'AUTRICE
Delphine Coulin è scrittrice e cineasta. I suoi libri – Les Traces (2004), Une seconde de plus (2006), Les Mille-Vies (2008), Samba pour la France (2011) e Voir du pays (2013) – sono tradotti in una decina di lingue straniere. Da Samba pour la France, pubblicato in Italia da Rizzoli, nel 2015 è stato tratto un film di successo.

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