La recensione di "Grazie a Dio", il nuovo film del regista francese François Ozon. Al cinema dal 17 ottobre
Recensione a cura di Mario Turco
“Grazie a Dio” è l'asciutto resoconto filmico di uno dei tanti di questi misfatti, ancor più terribile perché facente parte di un rosario blasfemo indossato da un'insana percentuale dei suoi esponenti. Nel racconto dello scandalo di padre Breynat, venuto a galla solo dopo anni di avvenute molestie e grazie soprattutto a una fortuita coincidenza, Ozon sceglie per la prima parte del film un basso profilo che ben si addice alla delicatezza dei fatti. Alexandre Guérin è uno stimato banchiere di mezz'età che vive a Lione e che quando, per puro caso, si accorge che il suo aguzzino tiene come se nulla fosse corsi di catechismo ai bambini viene travolto da un impeto di dolore. Il riemerso di un dramma a quei tempi mai denunciato apertamente e silenziato da genitori impauriti aumenta sempre più quando l'uomo si accorge che il vescovo cerca solo di narcotizzare la sua denuncia con gesti palliativi. La messa allo stato laicale del laido prete infatti è rifiutata con sdegno dato che Preynat “porta soldi e fedeli”. A Guérin non resta che un esposto ufficiale alla Procura che seppur destinato allo stralcio data l'avvenuta prescrizione possa quantomeno fare notizia spingendo le altre vittime a testimoniare.
Da qui “Grazie a Dio” si muove come per poli d'interesse presentandoci dapprima il riottoso François Debord e poi il tormentato Emmanuel. Con l'ingresso degli altri due co-protagonisti e i relativi nuclei familiari Ozon perde però la barra del timone e nel tentativo di narrare le conseguenze di una presa di coscienza comune per sconfiggere l'omertà della Chiesa frammenta il film in micro-storie di cui non si avverte la necessità (la fidanzata di Emmanuel, la violenza subita da Irene da un vicino di casa). Anche il tentativo di sdrammatizzare attraverso poche ma significative battute fa perdere l'asprezza della parte iniziale. Nonostante infatti quel segmento si muova tra letture di email, voice-over continui e piccoli gesti quotidiani con poca importanza l'empatia suscitata da Alexandre trova poco riscontro successivamente in François e ancor meno nel potenzialmente interessante Emmanuel. Lo stesso Ozon nelle interviste riconosce di essersi affezionato molto ai personaggi dato che l'idea iniziale era quella di fare della storia un documentario più classico. Ma il voler loro donare un riconoscimento cinematografico come quello avvenuto ai protagonisti de “Il caso Spotlight” fa sì che alla fine s'arrivi a privilegiare la confezione della storia piuttosto che la storia stessa. E così la voglia di voler donare archi narrativi anche ai comprimari dell'associazione “La parola liberata” che riuniva le vittime delle molestie diventa una ramificazione filmica affettuosa ma pretestuosa (le antipatie e gli scontri interni vengono accennati per essere subito dimenticati).
“Grazie a Dio” non nasconde mai la sua netta presa di posizione e fino alla fine, coi titoli di coda che ricordano il lassismo delle alte sfere vaticane, riesce comunque ad essere un prezioso monito contro l'aberrante crimine della pedosessualità (il neologismo è interno al film ed è molto pregnante semanticamente).