Recensione a cura di Mario Turco
Insomma, piegare il reale ad un copione ma facendo sì che l'oggetto sia sempre libero di adagiarsi alle continue sollecitazioni del soggetto. Così la reazione di Chiara di fronte alla veste criminale che la sua quotidianità assume e che fino a poco prima le veniva nascosta – troppo piccola e troppo donna con i suoi 15 anni di scontrosità ragazzina Instagram in una società rigidamente patriarcale – prende forme, tempi e reazioni della sua splendida interprete, Swamy Ruotolo. Carpignano è davvero eccezionale nel cucire il film attorno alla sua protagonista, esaltandone le contraddizioni e cullandosi della sua confusione, tra il fortissimo accento calabrese della giovane e la sua infantile voglia di non rinunciare ai riti mondani della sua età, come spettegolare su un muretto con le amiche cantando stonate o nascondendo alle compagne di classe la fuga del padre malavitoso braccato dalla polizia. E pensare che, coma ha dichiarato lo stesso regista italo-statunitense, noi spettatori abbiamo corso il rischio di perdere una grande performance proprio per i suoi capricci adolescenziali: “All’inizio non voleva farlo, una volta saputo che si girava anche il sabato. A quell’età - 16 anni - non vede l’ora di uscire tutte le sere”.
A Chiara unisce alla precisa radiografia del contesto sociale – l'impossibilità per gran parte della popolazione di Gioia Tauro di affrancarsi dal dominio mafioso, unico baluardo “istituzionale” presente sul territorio considerata la debolissima presenza dello Stato – un pedinamento molto partecipato sulla sua giovane protagonista e più in generale sul clan Guerrasio, interpretato anche questo interamente dalla famiglia Rotolo. Ecco che il tentativo di Chiara di affrancarsi da un presente e da un futuro segnati, la progressiva presa di coscienza di doversi svincolare da logiche mafiose e patriarcali che, sebbene apparentemente non inclini alla violenza – fondamentale il distacco esibito da Carpignano nella mancata condanna morale del padre Claudio, giustificato e auto-giustificatosi come bassa manovalanza di un traffico di droga che arricchisce altri – debba infine rassegnarsi al distacco e all'esilio da una terra che per i figli dei mafiosi appare condannata. Il film nella seconda parte affronta infatti il nodo cruciale della separazione coatta dei figli degli 'ndraghetisti dai loro nuclei sociali tramite affidamento a famiglie del Centro e Nord Italia, come se l'eradicazione delle persone dalla Calabria fosse l'unico modo con cui lo Stato pensa di poter tagliare i ponti con un modo di vivere avvertito come Altro da sé e quindi non da combattere culturalmente ma da cui fuggire fisicamente. Ed è davvero bellissima la scena del 18esimo compleanno di Chiara che, accettata la collocazione dei servizi sociali, vede gli amati padre, madre e sorelle come fantasmi sfocati nello specchio del bagno di una famiglia alto-borghese marchigiana. Il film si chiude allora come si era aperto, con la festa della maturità anagrafica che per Giulia Guerrasio certificava l'appartenenza all'ambiente sociale di Gioia Tauro mentre per la sorella Chiara esso suona come il più allegro dei requiem.