La recensione de "Il compleanno", di Harold Pinter per la regia di Peter Stein in scena al Teatro Sala Umberto di Roma fino al 12 Febbraio
Recensione a cura di Mario Turco
La versione de “Il compleanno”, regia di Peter Stein e produzione Tieffe Teatro Milano/TSV-Teatro Nazionale/Viola Produzioni srl, che calcherà il palco del Teatro Sala Umberto di Roma fino al 12 Febbraio ha innanzitutto il merito di riportare nella scena romana uno dei testi più importanti del drammaturgo inglese che, seppur scritto a soli ventisette anni ed inizialmente accolto da uno scarso successo di critica proprio per gli evidenti debiti beckettiani, è stato un punto di snodo cruciale per lo sviluppo del teatro del Novecento. La storia raccontata parte da una mattina qualunque all’interno della pensione gestita dalla ciarliera Meg (la fenomenale Marianna Crippa, interprete pinteriana per eccellenza) e dal marito Pety, affaccendati in chiacchiere domestiche su cosa succede nel mondo e sul tran-tran di colazione tra corn flakes e the riscaldato (male). Interrompendo chiacchiere in un certo qual modo fin troppo banali, ecco che dalla sua stanza scende il capriccioso, volubile ed inquieto Stan (l’altrettanto bravo Alessandro Averone, in limine vocale tra squisita bizzarria e destabilizzante misantropia) che monopolizza la stanza coi suoi ghirigori esistenziali da pianista fallito. È però con l’ingresso in scena di due loschi e misteriosi individui, ospitati quasi per caso da Pety - o forse no, uno dei più bei “gran misteri” della scrittura pinteriana - questa commedia della minaccia finalmente si instrada in un sentiero oscuro che la porterà narrativamente alla festa vera e propria, piena di straordinari cataclismi personali, e simbolicamente verso una discesa senza freni nella dissoluzione del fragile ordito della vita di personaggi fortemente mercuriali.
Con la regia misurata di Peter Stein, questa versione de “Il compleanno” accorpa le vicende dei tre atti originali in due, di cui il primo ha l’intuizione di andare filato come un treno fino al baccanale del party ed il secondo chiude la vicenda con un’amarezza senza scampo che resta anche dopo la chiusura del tendone del palco del teatro. La sottile violenza esercitata da Goldberg (Gianluigi Fogacci, eccezionale pure lui) e McCann sui frequentatori della pensione che Stan sembra prima presagire coi suoi ridicoli modi di sottrarsi all’incontro con i suoi futuri co-inquilini e poi subisce in maniera plateale nella bellissima scena dell’interrogatorio è come un fischio continuo ed inarrestabile che finisce solo quando trapana timpano e cervello del lavativo esponente di una società che sembra voler annientare chi non s’adegua ai suoi ritmi e ai suoi codici sociali. Così domande come “Il numero 846 è possibile o necessario?” o “Che mi dici delle eresie degli Albigesi?”, nonostante la corretta funzione grammaticale/sintattica, sono rompicapo impossibili da sciogliere, sciarade senza senso, cruciverba con soluzioni bloccate. Proprio come tutto ciò che concerne festività comandate ed alienanti come “Il compleanno”.