La recensione de "Il compleanno", di Harold Pinter per la regia di Peter Stein in scena al Teatro Sala Umberto di Roma fino al 12 Febbraio

Recensione a cura di Mario Turco

All’interno di un circuito di convenzioni date per assolutamente normali ma in fondo sempre frutto di un concordato sociale arbitrario che ha generato questi esiti ma avrebbe potuto benissimo crearne altri, il festeggiamento della propria data di nascita è sicuramente una delle più universali e importanti consuetudini. Ogni 365 giorni – esclusi i bisestili, ovviamente anch’essi frutto di un accordo tra i popoli fatto per far quadrare i conti dal punto di vista matematico-solare – il compleanno di ogni individuo ha infatti assunto funzioni amministrative fondamentali se si pensa a tutto ciò che concerne la maggiore età o più semplicemente il superamento di soglie anagrafiche che lo escludono o l’includono in settori fondamentali della vita umana (pensioni, concorsi, bonus statali etc.). Eppure, nonostante la sua dirimente importanza, il genetliaco nel corso dei millenni non è riuscito a scrollarsi di dosso l’alone di assurdità che accompagna un evento che da sempre attira a sé una serie di rituali che in ottica non antropocentrica appaiono difatti difficilmente giustificabili a livelli razionali. Ecco allora che la scelta del premio Nobel per la letteratura Harold Pinter di ambientare una delle sue prime opere proprio durante “The birthday party”, titolo originale della pièce, è il contesto ideale per una scrittura fortemente influenzata dal teatro dell’assurdo di Samuel Beckett e dalla lettura del Processo di Franz Kafka. 


La versione de “Il compleanno”, regia di Peter Stein e produzione Tieffe Teatro Milano/TSV-Teatro Nazionale/Viola Produzioni srl, che calcherà il palco del Teatro Sala Umberto di Roma fino al 12 Febbraio ha innanzitutto il merito di riportare nella scena romana uno dei testi più importanti del drammaturgo inglese che, seppur scritto a soli ventisette anni ed inizialmente accolto da uno scarso successo di critica proprio per gli evidenti debiti beckettiani, è stato un punto di snodo cruciale per lo sviluppo del teatro del Novecento. La storia raccontata parte da una mattina qualunque all’interno della pensione gestita dalla ciarliera Meg (la fenomenale Marianna Crippa, interprete pinteriana per eccellenza) e dal marito Pety, affaccendati in chiacchiere domestiche su cosa succede nel mondo e sul tran-tran di colazione tra corn flakes e the riscaldato (male). Interrompendo chiacchiere in un certo qual modo fin troppo banali, ecco che dalla sua stanza scende il capriccioso, volubile ed inquieto Stan (l’altrettanto bravo Alessandro Averone, in limine vocale tra squisita bizzarria e destabilizzante misantropia) che monopolizza la stanza coi suoi ghirigori esistenziali da pianista fallito. È però con l’ingresso in scena di due loschi e misteriosi individui, ospitati quasi per caso da Pety - o forse no, uno dei più bei “gran misteri” della scrittura pinteriana - questa commedia della minaccia finalmente si instrada in un sentiero oscuro che la porterà narrativamente alla festa vera e propria, piena di straordinari cataclismi personali, e simbolicamente verso una discesa senza freni nella dissoluzione del fragile ordito della vita di personaggi fortemente mercuriali. 


Con la regia misurata di Peter Stein, questa versione de “Il compleanno” accorpa le vicende dei tre atti originali in due, di cui il primo ha l’intuizione di andare filato come un treno fino al baccanale del party ed il secondo chiude la vicenda con un’amarezza senza scampo che resta anche dopo la chiusura del tendone del palco del teatro. La sottile violenza esercitata da Goldberg (Gianluigi Fogacci, eccezionale pure lui) e McCann sui frequentatori della pensione che Stan sembra prima presagire coi suoi ridicoli modi di sottrarsi all’incontro con i suoi futuri co-inquilini e poi subisce in maniera plateale nella bellissima scena dell’interrogatorio è come un fischio continuo ed inarrestabile che finisce solo quando trapana timpano e cervello del lavativo esponente di una società che sembra voler annientare chi non s’adegua ai suoi ritmi e ai suoi codici sociali. Così domande come “Il numero 846 è possibile o necessario?” o “Che mi dici delle eresie degli Albigesi?”, nonostante la corretta funzione grammaticale/sintattica, sono rompicapo impossibili da sciogliere, sciarade senza senso, cruciverba con soluzioni bloccate. Proprio come tutto ciò che concerne festività comandate ed alienanti come “Il compleanno”.

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