13 Novembre · 02 Dicembre 2012
Casanova Multimedia
LUCA BARBARESCHI FILIPPO DINI
IL DISCORSO DEL RE
di David Seidler
e con in ordine alfabetico Ruggero Cara, Chiara Claudi, Roberto Mantovani, Astrid Meloni, Giancarlo Previati, Mauro Santopietro
scene Massimiliano Nocente
costumi Andrea Viotti
luci Iuraj Saleri
musiche Marco Zurzolo
regia LUCA BARBARESCHI
ORARI SPETTACOLI
dal martedì al sabato ore 20.45
giovedì 15, mercoledì 21 e mercoledì 28 novembre, sabato 1 dicembre ore 16.45
tutte le domeniche ore 16.45
Dopo aver portato in scena Il Gattopardo, ho sentito il bisogno di approfondire la capacità del teatro nell’interpretare e rappresentare la società, soprattutto in relazione alla descrizione e interpretazione che la drammaturgia riesce a dare del presente e della storia, come forma conoscitiva superiore alle altre, per dirla con Harold Bloom “un teatro-mondo”. Ha ispirato la mia riflessione un ritorno a Shakespeare, a quel 1603 che segna una svolta storica per il teatro inglese; salito al trono, Giacomo I promuove un nuovo impulso delle arti sceniche, avocando a sé la migliore compagnia dell'epoca. A Giacomo I, Shakespeare dedica alcune delle sue opere maggiori, scritte per l'ascesa al trono del sovrano scozzese, come Otello, Re Lear e Macbeth, la più breve e più compressa di tragedie di Shakespeare. A differenza dell'introverso Amleto, il cui errore fatale è l'esitazione, gli eroi di queste tragedie come Otello e Re Lear furono sconfitti da affrettati errori di giudizio: le trame di queste opere fanno spesso perno su errori fatali, che sovvertono l'ordine e distruggono l'eroe e i suoi cari. Le tre ultime tragedie, che risentono della lezione di Amleto, sono drammi che restano aperti, senza ristabilire un ordine ma generando piuttosto ulteriori interrogativi. Ciò che conta non è l'esito finale, ma l'esperienza. Ciò a cui si dà maggiore importanza è l'esperienza catartica dell'azione scenica, piuttosto che la sua conclusione. Il salto al secolo scorso e alla nostra storia recente è possibile grazie all’opera di David Seidler.
“Il discorso del re” per me si inserisce in questo
filone dove il teatro resta soprattutto un inno alla voce e
all’importanza delle parole. La vicenda è ambientata nel XX secolo
quando i mezzi di comunicazione di massa assumevano un’importanza
capitale per il vivere quotidiano del cittadino, quando poche parole del
Re via radio potevano donare un briciolo di rassicurazione alla povera
gente, specie durante i conflitti bellici.
Tutta la vicenda è costituita da una incessante
partitura dialettica che ricorda la necessità di adoperare le giuste
parole da parte del potere, e forse proprio in questa epoca storica è
una lezione che andrebbe ripetuta sovente, anche perché una storia
acquista maggior valore se tramandata ai posteri attraverso un
persuasivo impianto oratorio.
La commedia è ambientata in una Londra surreale, a
cavallo tra gli anni 20 e 30, ed è centrata sulle vicende di Albert,
secondogenito balbuziente del Re Giorgio V. Si parte dai fatti storici
per addentrarsi in un dramma personale, senza abbandonare mai la Storia,
che non è fondale sottofondo ma è presenza imprescindibile di ogni
istante della commedia al fianco dei protagonisti.
Recentemente ne è stato fatto un film di grande
successo pluripremiato con gli oscar ma in origine nasce come testo
teatrale. Il discorso del Re sfrutta l’aspetto psicofisico della
disarticolazione verbale per raccontare il rapporto tra il Paese colono e
l’Impero per cui sacrifica i propri figli in guerra e dimostra come
aneddoti nascosti nelle pieghe della Storia possano elevarsi alla
potenza dell’epica, se narrati con perizia e ritmo. Il merito è dello
sceneggiatore David Seidler (Tucker. Un uomo e il suo sogno di Francis
Ford Coppola), che nella sua vita ha sofferto di balbuzie. Una commedia
umana, sempre in perfetto equilibrio tra toni drammatici e leggerezze,
ricca di ironia ma soffusa di malinconia, a tratti molto commovente, ma
capace anche di far ridere. Non di risate grasse o prevedibili, ma di
risate che nascono dal cervello e si trasmettono al cuore. Così come le
lacrime non nascono da un intento ricattatorio ma dall’empatia, da una
condivisione sentimentale di difficoltà umane.
E’ una bellissima storia sul senso di responsabilità e
sulla dignità del ruolo, anche quando tale ruolo non è atteso né
desiderato, sulla solidarietà familiare e sulla forza di volontà che
permette di superare ostacoli apparentemente insormontabili. Albert, è
il minore dei figli di Giorgio V e soffre di una pronunciata balbuzie,
che è il lascito di un’infanzia poco amata, trascorsa nelle mani di una
bambinaia che lo detesta, mortificata dall’imposizione di apparecchi
ortopedici e dalla correzione del mancinismo. La balbuzie lo rende poco
adatto al suo ruolo istituzionale in un’epoca in cui la radio comincia a
modificare i rapporti fra il potere ed il popolo comune. Forse perché
la famiglia reale gli è sempre apparsa piuttosto una “ditta”, dopo una
gioventù dissipata al traino del fratello maggiore brillante e gaudente,
si è formato una famiglia basata sull’amore e la solidarietà con una
donna che non aspira alle luci della ribalta, ma che sarà perfettamente
in grado di sostenerlo nei momenti difficili e di assumersi lei stessa
responsabilità più grandi del previsto.
Proprio lei lo spinge, dopo numerosi tentativi
falliti, a chiedere l’aiuto di un logopedista australiano dai modi
inconsueti, con cui sviluppa un rapporto conflittuale che fa anche
emergere da una parte la grande considerazione che Albert ha di sé e
della sua posizione, dall’altra la possibilità che egli si trovi prima o
poi a dover sostituire sul trono il fratello maggiore, invischiato in
un amore sconveniente con una divorziata risposata e dal passato
discutibile. La morte di Giorgio V rende più concreta questa possibilità
che è però alto tradimento agli occhi di Albert. Il personaggio di
Logue diventa il punto focale intorno a cui ruota il conflitto interiore
di Albert. La scrittura del testo sottolinea il conflitto mostrandoci
il logopedista, attore di scarso successo, ma appassionato scespiriano
alle prese, sia come logopedista che come educatore e attore, con brani
tratti non a caso dall’Amleto, dal Riccardo III e da La tempesta: tutte
opere in cui un fratello minore non si preoccupa di commettere
fratricidio per usurpare un trono a cui non aveva diritto.
La rinuncia di Edoardo VIII al regno in nome del suo
diritto ad amare, porta Albert sul trono e contrasta efficacemente con
l’accettazione da parte di questi della responsabilità di essere la voce
che deve tenere unita la Nazione alla vigilia della seconda guerra
mondiale. Per tale responsabilità Albert è costretto a richiedere
nuovamente l’opera del logopedista, ma alla vigilia dell’incoronazione
scoppia una nuova crisi. L’arcivescovo di Canterbury, geloso del credito
che l’uomo riscuote presso il re, scopre che Logue, che non si è mai
presentato come dottore, non è che un ex attore. Albert si sente tradito
ma, in una scena memorabile, Logue, dignitoso e ironicamente
irriverente si riguadagna la fiducia e la stima del re e lo accompagnerà
fino al temuto discorso con cui Albert, ormai re Giorgio VI (Albert è
nome troppo germanico per essere bene accetto nell’Inghilterra di quegli
anni) annuncerà al suo popolo l’entrata in guerra guadagnandosi al
tempo stesso il rispetto del governo e della nazione.
David Seidler con questo testo riesce anche a
sottolineare le differenze fra i fratelli e le rispettive famiglie:
Albert cammina a piedi, entra con la moglie in un ascensore, si presenta
in incognito nella casa del logopedista; Elizabeth, la futura regina
madre, prende il the con la moglie di questi. David, per breve tempo
Edoardo VIII, entra in scena scendendo da un aereo che pilota
personalmente; alla morte del padre piange tra le braccia della madre,
non per la perdita ma per il rischio di dover lasciare la sua vita
leggera. Lo incontriamo poco dopo al centro di una festa, in cui lascia
l’incarico di padrona di casa alla sua amante e dove risponde ai
richiami del fratello con l’insinuazione che questi voglia il suo posto.
E’ la vicenda umana della ricostruzione storica che rende perfettamente
l’idea dei due modi di porsi di fronte al dovere ed al potere.
Eccellente, preciso, determinante il peso che ha
ciascun personaggio della commedia che oltre ai due protagonisti (Albert
e Logue) riesce a rappresentare sapientemente il risvolto umano,
psicologico, storico di tutti gli altri personaggi, la cura e la massima
attenzione ai costumi ed alla scenografia renderanno a pieno la
ricostruzione di tempi, ambienti ed atmosfere.
Luca Barbareschi
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