Recensione: Tim Burton. From Gotham to Wonderland, di Giulio Muratore

Titolo:
Tim Burton. From Gotham to Wonderland
Autore: Giulio Muratore
Editore: Nero Press
Pagine: 148
Anno di pubblicazione: 2020
Prezzo copertina: 13,00 €

Recensione a cura di Mario Turco


"Un uomo pallido, aria fragile, occhi tristi, e una testa di capelli che raccontavano molto più di una lotta notturna con il cuscino [...], gli occhi spalancati e concentrati su nessun punto particolare, occhi curiosi, occhi che hanno visto molto ma ancora divorano tutto ciò che incontrano". Con questa dichiarazione rilasciata dal suo dioscuro attoriale Johnny Depp in una famosa biografia apre il suo libro Giulio Muratore "Tim Burton. From Gotham to Wonderland", edito da Nero Press edizioni nella collana di saggistica Indagini. Mettendo in esergo un ritratto così dolce non serve nemmeno arrivare alla fine del volume, e cioè all'onesta ammissione dell'autore, per capire che questo agile saggio sul regista statunitense sia attraversato da un affetto culturale e passionale intensamente vicino alle tematiche burtoniane. Già, perché l'artista nato nella paciosa Burbank, sobborgo high-class vicino Los Angeles, è stato per almeno due generazioni il cantore dei disadattati, degli ombrosi adolescenti e dei freaks fisici, paurosi solo dal punto di vista estetico ed in realtà con un cuore ricolmo di sensibilità pronto perfino ad immolarsi per i propri carnefici. 


"Tim Burton. From Gotham to Wonderland " vuole allora "ripercorrere le tappe più significative della carriera del cineasta americano attraverso un approccio anticonvenzionale, non rigidamente vincolato allo sviluppo cronologico della sua filmografia ma piuttosto orientato a indagare quegli aspetti della sua poetica fino a oggi poco noti". Per farlo Muratore sceglie un approccio che si situa a metà strada tra il personalismo della lettura (la sottovalutazione critica di "Mars Attacks!", ad esempio) e l'appoggio ad un apparato bibliografico di stampo accademico e di riviste settoriali quali Segnocinema e i Cahiers du cinéma. Un libro quindi che, come quasi tutte le opere medie, può accontentare sia i neofiti delle opere burtoniane sia chi volesse un compatto viatico per futuri approfondimenti tecnici. Il saggio è suddiviso in microsezioni di 4/5 pagine che esauriscono al proprio interno una specifica tematica dell'ampio corpus di opere di Tim Burton: dagli obbligatori capitoli sulle influenze espressioniste a quello sul mentore Vincent Price, Muratore prova anche ad aggiornare le lenti interpretative indagando il passaggio alla terza dimensione compiuto con i due episodi di "Alice in Wonderland" e perfino la bellissima retrospettiva dedicatagli dal MoMA di New York. A questo proposito si rivelano molto azzeccate le foto dell'apparato iconografico inerenti la mostra che hanno forse il solo difetto di venir posizionati blandamente alla fine senza che le immagini collaborino dialetticamente con i contributi scritti. "Tim Burton. From Gotham to Wonderland" nelle sue serrate 120 pagine di lettura riesce comunque a dar contezza de "il cantore del gotico, l'apostolo del macabro, l'adepto del bizzarro, il castigatore dei bambini viziati, e una delle più importanti rivelazioni del cinema contemporaneo" partendo dall'infanzia nella vituperata cittadina californiana di nascita ed il successivo inopinato arrivo alla Disney come disegnatore di uno dei suoi cartoon più ingiustamente bistrattati "Red e Toby nemiciamici". Poi il libro con oculatezza tralascia le arcinote vicende biografiche per addentrarsi nella disamina degli aspetti più originali della poetica del regista. Grande spazio viene riservato ai due Batman in cui l'estro creativo di Burton è riuscito a sposarsi in maniera mai più così coinvolgente con le esigenze degli studios. Se i tormenti dell'uomo-pipistrello già dallo script sembravano essere la tela ideale dove modellare i propri incubi (si ricordi ad esempio la scena in cui il Joker dileggia perfino un quadro di Francis Bacon) molto più inaspettato risulta essere la creazione di un capolavoro sulla carta troppo bislacco come "Nightmare before Christmas". Muratore ha buon gioco ad inserirsi nella lettura critica dominante che vede la prima parte di carriera di Burton come quella fondativa del Mito - sarebbe stato interessante in questo senso un appendice sui suoi seguaci o quantomeno sui colleghi d'immaginario, come ad esempio Del Toro - e la seconda come invece un'involuzione a mestierante hollywoodiano senza nerbo. I giudizi su "Big Eyes" e "Miss Peregrine - La casa dei bambini speciali" diventano allora sferzanti, corroborati dall'unanime freddezza dei recensori cinematografici. Così anche la versione in live action del freak a cartoni animati più famoso della casa di Topolino e della la sua corte circense, "Dumbo", viene annegato in un zuccheroso rifacimento perfino più timido dell'originale per bambini: "indicativa è la rimozione della parata degli elefanti rosa, una delle sequenze più sovversive e psichedeliche dell'intera epopea Disney". 


Tim Burton allora, come uno dei suoi tanti eroi melanconici, si è smarrito tra le brume di Hollywood asservendosi ai diktat dei Ceo dei grandi Studios? Forse la soluzione, da fan e da studioso, non è così semplice come si può intuire dalla brillante analisi di Scott Mendelson riportata in chiusura da Muratore: "Hollywood si è evoluta al punto in cui la cultura pop che Burton ha contribuito a creare è diventata la definizione di mainstream. La sua (di Burton) procedura operativa standard [...] è diventata la procedura operativa standard per tutta Hollywood, mentre gli spettatori meno inclini a cercare film 'non-evento' sono diventati così meno inclini ad accettare le sue opere artisticamente più ambiziose. In un certo senso, non è morto un eroe ma - attraverso l'appropriazione di Hollywood del suo modello - è vissuto tanto a lungo da diventare il cattivo, o perlomeno lo status quo di un'industria e di una popolazione in movimento non più spaventata dalle sue visioni. È paradossale che l'uomo che una volta veniva definito l'outsider di Hollywood abbia visto l'industria modellata a sua immagine". Ed è forse perfino più paradossale che un poeta in grado di regalare la meraviglia di un corto come "Vincent", il cui testo Muratore riporta integralmente a conclusione del suo saggio a mo' di suggello al rimpianto comune, abbia ceduto la sua originalissima visione ad un'intera società che ne ha fatto logo per inquietudini a buon mercato e oggettistica ancor più avvilente.

L'AUTORE
Giulio Muratore è nato a Fiesole nel 1988. Nel 2013 consegue la laurea magistrale in Pro.S.M.Art. (Produzione di Spettacolo, Musica, Arte e Arte Tessile) presso l’Università degli Studi di Firenze. Nello stesso anno pubblica il saggio Italia Horror Underground, primo studio ufficiale sul cinema di genere contemporaneo.

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