La recensione di "Trappola per topi" di Agatha Christie, per la regia di Giorgio Gallione in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 30 Novembre

Recensione a cura di Mario Turco

"Oddio, è morto anche l'arrosto!" La celeberrima battuta di uno dei testi più famosi di Agatha Christie può essere usata come un cuneo con cui sollevare la mercuriale opera della regina del giallo dalla "sete di sangue" verbale che ha sempre contraddistinto la sua prolifica bibliografia. Quando Mollie Ralston (Claudia Campagnola) con questa frase ad effetto chiude infatti "Trappola per topi", per la regia di Giorgio Gallione in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 30 novembre, la tensione che si era accumulata dentro la locanda del cacciatore, sede perfetta delle tre unità aristoteliche, può definitivamente dispiegarsi in una risata forse mai così catartica. 


Il merito principale di questa bella versione della commedia thriller più rappresentata nei palcoscenici inglesi, adattata con cura ed inventiva dal sempre attento Edoardo Erba, è infatti di saper bilanciare bene la risoluzione di una vicenda meno cerebrale del solito - pochi personaggi, nessun enigma della camera chiusa ed un solo delitto da sbrogliare - con una direzione farsesca spinta spesso all'estremo caricaturale e, per fortuna in questi tempi così cupi, senza l'onta di voler essere "un paradiso di corna" di carattere e di caratteri che fanno "pensare a Scrooge o al Grinch". Un testo che, come dice il regista nelle note di regia, è "certo da interpretare, ma da servire e rispettare". E soprattutto da amare, aggiungiamo noi, perché abitato "da personaggi che non sono mai solo silhouette o stereotipi di genere, ma creature bizzarre ed ambigue", per riprendere sempre le azzeccate parole di Gallione. In questa versione di Trappola per topi a risaltare, infatti, è proprio l’attenzione verso i protagonisti della pièce che sono interpretati con brio da un cast coeso e scoppiettante, capace ognuno di portare sana eccentricità ad un plot che, preso troppo sul serio, avrebbe probabilmente rischiato l’inattualità. “La classica donna inglese: i complimenti vi mettono a disagio” è un complimento infatti che può uscire solo dalla bocca dell’infantile e survoltato Christopher Wren (Stefano Annoni, il più bravo), così come la battuta sulla militanza socialista, più rosa shocking che rossa, può essere proferita solo dalle labbra vermiglio dell’enigmatica e giovane donna d’affari Casewell (Raffaella Anzalone). Il continuo scambio di battute al vetriolo (o cianuro, come vorrebbe la produzione di Christie?!) e l’indagine compiuta non da un campione impossibile di razionalità come Marple o Poirot ma dal più terragno Sergente Trotter (Ettore Bassi, a suo agio quando può condividere e non accentrare su di sè la luce dei riflettori) dialogano in maniera proficua con l’opulenta scenografia di Luigi Ferrigno, capace con i suoi ricchi (la neve che entra dall’uscio, la vetrata che dà sull’esterno) e precisi dettagli di trasmettere la sensazione che si sia davvero assistendo ad una tragicommedia in atto in una pensione inglese. 


Riuscite in questo senso le frequenti escursioni diegetiche nella discografia dei Beatles – il suggerimento che sia proprio “Helter Skelter”, come nel leggendario caso del quinto Beatles Charles Manson, a far impazzire definitivamente l’assassino è semplicemente geniale – che confermano il sapido bozzettismo british che corre per tutte le due ore di spettacolo. Trappola per topi mantiene lo straordinario ritmo dell’originale replicando perfino la singola presentazione dei personaggi nel primo atto, certamente schematica ma funzionale alla ridda dei sospetti che caricherà di dubbi il pre-finale del secondo atto. In questo suo adattamento Gallione non ha perfino paura di riportare fedelmente su un palco del 2024 la figura di Paravicini (Matteo Palazzo), vanesio e incipriato traffichino che gioca con la sua pelliccia mentendo sulla sua età e, probabilmente, sulla sua identità sessuale. A dimostrazione, ancora una volta, di come sia proprio uno spettacolo thriller a ritagliarsi la giocosa possibilità di uccidere i censori del politicamente corretto proponendo, più semplicemente, maschere che vanno oltre i guasti della più cieca e bieca inclusività artistica.

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