La recensione del film SAMBA, al cinema dal 23 aprile

Recensione a cura di Eleonora Cocola
Samba Cissè è senegalese ma ormai da dieci anni vive a Parigi, dove si barcamena tra vari lavoretti precari mentre studia per diventare un cuoco come suo zio Lamouna, con cui condivide un alloggio squallido e minuscolo. Dopo essere incappato in un controllo della polizia, passa un periodo in un centro di accoglienza e viene rilasciato con il foglio di via. Per non dover lasciare la Francia, Samba si rivolge a un’associazione che aiuta i clandestini ad ottenere la carta di soggiorno. È così che incontra Alice, una volontaria molto diversa dalle altre: ha dovuto interrompere la sua carriera di dirigente aziendale per riprendersi da un grave crollo nervoso.

Dopo il successo planetario di Quasi amici, il binomio Olivier Nakache e Eric Toledano torna sul tema delle amicizie inaspettate: tra Samba (interpretato dall’oramai collaudato Omar Sy) e Alice (Charlotte Gainsbourg) nasce un legame apparentemente improbabile, un po’ per le differenze sociali e caratteriali, un po’ per i goffi tentativi di lei di mantenere le distanze. Ma abbastanza presto risulta chiaro che i due sono più simili di quel che sembrano: ad accomunarli c’è una condizione di outsider, che in Alice, complici le straordinarie doti della Gainsbourg, emerge in una maniera intima ed esilarante al tempo stesso. Tutto in lei parla del suo essere fuori posto, dalla postura un po’ curva, dovuta anche ai vestiti che la infagottano, alle maniere maldestre, dalla sua espressione deliziosamente persa alla sua incapacità di seguire le regole dell’associazione. Una goffaggine che, nonostante all’apparenza sembri più spigliato e irruento, caratterizza anche Samba, soprattutto quando c’è occasione di scatenarsi nel ballo, nemico principe della rigidità.

Che sia dovuto alla bravura dell’attrice o a scelte di sceneggiatura, la personalità di Alice è il fiore all’occhiello del film, e il più delle volte è lei a dare vita a situazioni che sfiorano l’esilarante e che danno l’impressione di assistere ad una commedia. L’altra colonna portante in questo senso è il personaggio di un giovane immigrato algerino, interpretata dal bravissimo Tahar Rahim, che si finge brasiliano per trovare più facilmente lavoro (e ragazze). Samba però non è una vera e propria commedia, perché i risvolti comici servono a bilanciare sapientemente gli aspetti realistici del film, che racconta senza mezzi termini non solo la difficile condizione di sentirsi straniero e non accettato, ma anche i risvolti più crudi dell’essere clandestini: la difficoltà di trovare un lavoro dignitoso, la stanchezza fisica, la paura di essere scoperti, i pericoli della strada. Il personaggio di Samba incarna il lato più drammatico della pellicola, che riesce bene nell’intento di far convivere gli aspetti dolci e quelli amari, risultando nel complesso molto gradevole, delicata ed estremamente umana.

Il confronto con il romanzo Samba pour la France di Delphine Coulin è doveroso, ma il film trae dal libro poco più che l’ispirazione: il personaggio di Alice, che nel romanzo è solo la voce narrante ma non ha una vera rilevanza a livello di trama, è completamente opera degli sceneggiatori. Della potente drammaticità del libro, il film conserva solo una parte, quella che serve per parlare in maniera realistica di una situazione sociale difficilissima, lasciando perdere gli aspetti più tragici. La linea narrativa dedicata alla relazione fra Samba e Gracieuse, la ragazza fidanzata con un amico del protagonista, è impoverita a livello sentimentale e sopravvive solo per reggere gli sviluppi della trama. Questo, naturalmente, a fronte di un approfondimento emotivo totalmente diverso, che racconta la nascita di un legame tra mondi così diversi ma allo stesso tempo così vicini da potersi toccare.

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