Titolo: Accabadora
Autore: Michela Murgia
Editore: Einaudi
Pagine: 166
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo copertina: 18,00 €
Recensione a cura di Genny Biagioni
Maria è la quarta figlia femmina di una vedova poco intelligente e tutt'altro che amorevole; Tzia Bonaria è la vecchia sarta che tutti, nel paesino di Soreni in Sardegna, guardano con un timoroso e superstizioso rispetto. Dopo averla vista rubare delle ciliege in una bottega, Tzia decide di prendere con sé quella bambina di sei anni ignorata e di certo non desiderata, proponendo alla famiglia di lei di occuparsi di quella bocca da sfamare che non era altro che un peso per sua madre e le sue sorelle.
Autore: Michela Murgia
Editore: Einaudi
Pagine: 166
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo copertina: 18,00 €
Recensione a cura di Genny Biagioni
Maria è la quarta figlia femmina di una vedova poco intelligente e tutt'altro che amorevole; Tzia Bonaria è la vecchia sarta che tutti, nel paesino di Soreni in Sardegna, guardano con un timoroso e superstizioso rispetto. Dopo averla vista rubare delle ciliege in una bottega, Tzia decide di prendere con sé quella bambina di sei anni ignorata e di certo non desiderata, proponendo alla famiglia di lei di occuparsi di quella bocca da sfamare che non era altro che un peso per sua madre e le sue sorelle.
Maria
diventa così una fill'e anima, quella figlia che Dio non ha mai voluto
concedere a Bonaria in gioventù ma che, come una benedizione, è arrivata sul
tramonto di una vita vissuta quasi totalmente in solitudine. Fra le due si
instaura un rapporto che ha il sapore speciale delle cose che si scelgono,
nella cornice di una piccola realtà rurale lontana anni luce dall'Italia del
continente, dove anche la lingua che si
parla è una cosa a sé e le regole, quelle tacite, seguono un codice tutto
proprio che niente ha a che vedere con il concetto di giustizia come siamo
abituati ad intenderlo. Le azioni si suddividono semplicemente in cose che si
fanno e quelle che invece non si fanno, e non perché sono ingiuste, ma
semplicemente perché è così che deve essere. Lo sa bene Maria, a cui Tzia ha
insegnato a cucire e a ricevere un abbraccio davanti al camino, per essere
forte nelle guerre che l'aspettano; così come sa che ci sono cose che non si
devono chiedere. Ed è per questo che non domanda mai a quella che considera sua
madre dove va di notte, quando qualcuno bussa discretamente alla porta della
loro casa, bisbigliando alla vecchia Bonaria qualcosa che lei non riesce a
sentire. Lo scoprirà molti anni più tardi, già adulta, in occasione di un
episodio che scuote l'apparente tranquillità di Soreni: Tzia è l'accabadora del
paese, dallo spagnolo acabar, che significa finire. Lei è
l'ultima madre, la donna che i moribondi si ritrovano accanto e che, con un
atto che potrebbe essere considerato come un omicidio, aiuta coloro che non riescono a staccarsi dalle
sofferenze del proprio corpo terreno a raggiungere la pace della morte. E' un
atto di pietà che lo considera la comunità di Soreni, una compassionevole
spinta al destino, quando questo non riesce a compiersi. E a niente valgono le
spiegazioni di Tzia che cerca di fare capire a Maria che, come abbiamo bisogno
di un aiuto per nascere, spesso ne abbiamo bisogno anche per morire: lei è la
mano che taglia quel cordone ombelicale che unisce gli uomini alla vita. Ma la
rottura che si crea fra le due donne ha le dimensioni di una voragine, e verrà
colmata solo alla fine di tutto, quando Maria comprenderà, finalmente, gli
insegnamenti di Tzia, che riteneva che «le colpe, come le persone, iniziano
ad esistere se qualcuno se ne accorge».
Il romanzo con cui Michela Murgia ha vinto il premio Campiello 2010 è un autentico gioiello di letteratura che descrive la condizione umana nello spaccato di una realtà pettegola e un po' ottusa che accomuna molte piccole cittadine italiane, dove la gente si dimentica delle proprie disgrazie riempiendosi la bocca con gli scheletri nascosti negli armadi degli altri; ma che ci racconta anche di una tradizione nella quale la storia e l'identità popolare si tramandano nelle generazioni attraverso segreti intuiti e mai completamente svelati, e parole appena sussurrate per non rischiare di incorrere nella punizione divina. L'autrice tocca un argomento spinoso e quanto mai controverso come quello dell'eutanasia, e lo fa nel modo delicato di chi racconta una fiaba antica, complice l'amore profondo che si intuisce provare per la sua terra, la Sardegna, luogo dove le usanze popolari hanno mantenuto la loro magica identità nonostante lo scorrere del tempo. Maria e Tzia, due anime sole che si cercano e si trovano, sono indubbiamente i personaggi più belli e complessi di questo libro: la bambina e la vecchia, la purezza e la saggezza, estranee ma affini come, e forse più, di una figlia ed una madre vere, forti e decise a non farsi schiacciare da un mondo che le guarda con il sospetto che si riserva ai diversi. Altro personaggio positivo è certamente Andrìa, l'amico inseparabile con cui Maria cresce, che, una volta uomo, le confessa il suo amore e diventa l'artefice della rottura fra lei e Tzia; e Nicola, fratello di Andrìa, un'anima in perenne conflitto con la sua rabbia interiore che lo porterà ad un tragico epilogo; ma anche il giovane Piergiorgio, che nel suo cuore di adolescente porta un peso e un segreto inconfessabile, e la maestra, la forestiera torinese che, dopo una vita, si conquista l'appartenenza a quella comunità, tanto da diventare per tutti solo la maestra Luciana . Decisamente poco simpatici, invece, gli altri abitanti di Soreni, che rappresentano la faccia odiosa del popolino, quella chiacchierona e pettegola, cattiva e invidiosa con cui tutti noi ci misuriamo quotidianamente. L'ambientazione temporale e di spazio sono talmente veritiere che al lettore sembra di percepire il calore della legna che arde nei camini, il sapore del pane e dei dolci impastati dalle donne nei giorni di festa, l'odore acre delle candele e il lamento delle litanie durante le veglie funebri.
Il romanzo con cui Michela Murgia ha vinto il premio Campiello 2010 è un autentico gioiello di letteratura che descrive la condizione umana nello spaccato di una realtà pettegola e un po' ottusa che accomuna molte piccole cittadine italiane, dove la gente si dimentica delle proprie disgrazie riempiendosi la bocca con gli scheletri nascosti negli armadi degli altri; ma che ci racconta anche di una tradizione nella quale la storia e l'identità popolare si tramandano nelle generazioni attraverso segreti intuiti e mai completamente svelati, e parole appena sussurrate per non rischiare di incorrere nella punizione divina. L'autrice tocca un argomento spinoso e quanto mai controverso come quello dell'eutanasia, e lo fa nel modo delicato di chi racconta una fiaba antica, complice l'amore profondo che si intuisce provare per la sua terra, la Sardegna, luogo dove le usanze popolari hanno mantenuto la loro magica identità nonostante lo scorrere del tempo. Maria e Tzia, due anime sole che si cercano e si trovano, sono indubbiamente i personaggi più belli e complessi di questo libro: la bambina e la vecchia, la purezza e la saggezza, estranee ma affini come, e forse più, di una figlia ed una madre vere, forti e decise a non farsi schiacciare da un mondo che le guarda con il sospetto che si riserva ai diversi. Altro personaggio positivo è certamente Andrìa, l'amico inseparabile con cui Maria cresce, che, una volta uomo, le confessa il suo amore e diventa l'artefice della rottura fra lei e Tzia; e Nicola, fratello di Andrìa, un'anima in perenne conflitto con la sua rabbia interiore che lo porterà ad un tragico epilogo; ma anche il giovane Piergiorgio, che nel suo cuore di adolescente porta un peso e un segreto inconfessabile, e la maestra, la forestiera torinese che, dopo una vita, si conquista l'appartenenza a quella comunità, tanto da diventare per tutti solo la maestra Luciana . Decisamente poco simpatici, invece, gli altri abitanti di Soreni, che rappresentano la faccia odiosa del popolino, quella chiacchierona e pettegola, cattiva e invidiosa con cui tutti noi ci misuriamo quotidianamente. L'ambientazione temporale e di spazio sono talmente veritiere che al lettore sembra di percepire il calore della legna che arde nei camini, il sapore del pane e dei dolci impastati dalle donne nei giorni di festa, l'odore acre delle candele e il lamento delle litanie durante le veglie funebri.
In conclusione, Accabadora
è un romanzo bello e pieno di sfaccettature che, grazie alla bravura di
Michela Murgia, ci dipinge uno scorcio d'Italia che non deve essere
dimenticata, con un linguaggio a volte crudo e tali altre poetico, capace di
descrivere con la stessa intensa emozione la vita e la morte, le vendette e i
perdoni, gli incontri che, come quello fra Maria e Tzia, hanno il sapore
della grazia, le partenze e i ritorni di coloro che, anche se sono stati
lontani, non se ne sono mai andati veramente.
L'AUTRICE
Michela Murgia è nata a Cabras nel 1972. Nel 2006 ha pubblicato con Isbn Il mondo deve sapere, il diario tragicomico di un mese di lavoro che ha ispirato il film di Paolo Virzì Tutta la vita davanti.
Per Einaudi ha pubblicato nel 2008 Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell'isola che non si vede, nel 2009 il romanzo Accabadora, vincitore del Premio Campiello 2010, nel 2011 Ave Mary (ripubblicato nei Super ET nel 2012), nel 2012 Presente (con Andrea Bajani, Paolo Nori e Giorgio Vasta) e L'incontro.
L'AUTRICE
Michela Murgia è nata a Cabras nel 1972. Nel 2006 ha pubblicato con Isbn Il mondo deve sapere, il diario tragicomico di un mese di lavoro che ha ispirato il film di Paolo Virzì Tutta la vita davanti.
Per Einaudi ha pubblicato nel 2008 Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell'isola che non si vede, nel 2009 il romanzo Accabadora, vincitore del Premio Campiello 2010, nel 2011 Ave Mary (ripubblicato nei Super ET nel 2012), nel 2012 Presente (con Andrea Bajani, Paolo Nori e Giorgio Vasta) e L'incontro.
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