Titolo: I mastini di Dallas
Autore: Peter Gent
Editore: 66thand2nd
Pagine: 384
Anno di pubblicazione: 2013
Prezzo copertina: 18,00 €
Phil Elliott ha le «migliori mani di tutta la Nfl», il corpo devastato dai placcaggi e il problema di riprendersi il posto da titolare nell’attacco dei North Dallas Bulls. Pur di giocare è disposto a convivere con «paura e dolore», a imbottirsi di analgesici e fabbricarsi protezioni artigianali, più sottili della norma, in modo da recuperare la velocità che ha perso per via degli infortuni. Dopotutto il football è la sua vita. Ma il «vero divertimento» va in scena nell’attesa tra una partita e l’altra, con le groupie e i parassiti che circondano il club, le rivalità tra i giocatori, il braccio di ferro con i dirigenti, i postumi di un matrimonio fallito, le dosi di speed e mescalina per tirare avanti: un vortice di autodistruzione da cui Phil sembra poter fuggire solo grazie a Charlotte, una vedova di guerra incontrata per caso in uno dei deliranti festini della squadra.
Attraversato dalle canzoni di Bob Dylan e dei Rolling Stones e dal soffio libertario della controcultura, I mastini di Dallas racconta l’altra faccia dello sport, mettendo a nudo le logiche del business milionario dietro le carriere degli atleti. Nel mondo del football Gent proietta con effetti grotteschi – come fa DeLillo in End Zone – le paranoie e le distorsioni di quel «complesso tecnomilitare» che era l’America ai tempi del Vietnam.
Peter Gent (1942-2011) è stato un campione di basket universitario e un flanker nei Dallas Cowboys degli anni Sessanta. Ritiratosi prematuramente in seguito a svariati infortuni ha iniziato a scrivere, immergendosi «nell’oceano dei ricordi»: I mastini di Dallas è il suo esordio, pubblicato in America nel 1973 e portato sullo schermo da Ted Kotcheff e Nick Nolte.
Autore: Peter Gent
Editore: 66thand2nd
Pagine: 384
Anno di pubblicazione: 2013
Prezzo copertina: 18,00 €
Phil Elliott ha le «migliori mani di tutta la Nfl», il corpo devastato dai placcaggi e il problema di riprendersi il posto da titolare nell’attacco dei North Dallas Bulls. Pur di giocare è disposto a convivere con «paura e dolore», a imbottirsi di analgesici e fabbricarsi protezioni artigianali, più sottili della norma, in modo da recuperare la velocità che ha perso per via degli infortuni. Dopotutto il football è la sua vita. Ma il «vero divertimento» va in scena nell’attesa tra una partita e l’altra, con le groupie e i parassiti che circondano il club, le rivalità tra i giocatori, il braccio di ferro con i dirigenti, i postumi di un matrimonio fallito, le dosi di speed e mescalina per tirare avanti: un vortice di autodistruzione da cui Phil sembra poter fuggire solo grazie a Charlotte, una vedova di guerra incontrata per caso in uno dei deliranti festini della squadra.
Attraversato dalle canzoni di Bob Dylan e dei Rolling Stones e dal soffio libertario della controcultura, I mastini di Dallas racconta l’altra faccia dello sport, mettendo a nudo le logiche del business milionario dietro le carriere degli atleti. Nel mondo del football Gent proietta con effetti grotteschi – come fa DeLillo in End Zone – le paranoie e le distorsioni di quel «complesso tecnomilitare» che era l’America ai tempi del Vietnam.
Peter Gent (1942-2011) è stato un campione di basket universitario e un flanker nei Dallas Cowboys degli anni Sessanta. Ritiratosi prematuramente in seguito a svariati infortuni ha iniziato a scrivere, immergendosi «nell’oceano dei ricordi»: I mastini di Dallas è il suo esordio, pubblicato in America nel 1973 e portato sullo schermo da Ted Kotcheff e Nick Nolte.
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