Titolo: Nella testa di una jihadista
Autore: Anna Erelle
Editore: Tre60
Pagine: 257
Anno di pubblicazione: 2015
Prezzo copertina: 14,00
Recensione a cura di Eleonora Cocola
Anna Erelle, giovane reporter francese, per sviscerare il fenomeno dell’arruolamento nelle file dello Stato Islamico di molti giovani occidentali, si crea un’identità fasulla su Facebook e dà vita a un avatar digitale, Mélanie, ventenne francese convertita all’Islam. Un giorno, nel marzo del 2014, Mèlanie condivide sulla sua pagina Facebook un video pubblicato dal terrorista dell’Isis Abu Bilel. Anna ancora non lo sa, ma in questo modo ha dato inizio a una catena di eventi destinati a sfuggirle di mano; Abu Bilel la contatta privatamente, insiste per conoscere Mèlanie su Skype, convinto di aver trovato l’ennesima ragazza da adescare per convincerla ad abbracciare la Jihad.
La giornalista si rende conto di avere a che fare con un pesce grosso. Abu Bilel infatti è il braccio destro del califfo dello stato islamico Abu Bakr al-Baghdadi: è un contatto importante, da cui potrebbe ricevere informazioni preziose e scoprire in maniera diretta i dettagli del reclutamento on line e della propaganda digitale operati dall’Isis. Allora la reporter indossa un velo e inizia ad impersonare Mèlanie, giovane confusa e vulnerabile, docile e facilmente influenzabile. Nel giro di pochi giorni il terrorista fa di tutto per convincere Mèlanie a partire, nonché a diventare sua moglie, riempiendole la testa con quadretti pittoreschi della meravigliosa vita che condurrà in Siria, lottando a fianco dei terroristi per la libertà e contribuendo a costruire un mondo migliore. Anna, decisa ad andare fino in fondo per completare il suo reportage, arriva a partire per la Siria, ma la situazione si complica, si fa rischiosa, e l’inchiesta viene interrotta bruscamente; Mèlanie scompare, ma la storia non finisce qui: non si può prendere in giro l’Islam senza pagarne le conseguenze, e nel luglio del 2014 viene lanciata contro Anna/Mèlanie una fatwa, una condanna a morte che costringe la reporter a cambiare identità e a vivere costantemente sotto scorta.
Quello di Anna Erelle è un racconto scioccante e coraggioso, ma soprattutto umano: a spingerla a rischiare consapevolmente la sua vita non è solo l’istinto del giornalista che vuole scoprire di più, ma soprattutto il desiderio di smascherare l’ipocrisia e la bassezza di un’organizzazione che approfitta del disagio di una generazione, della confusione e della debolezza di tanti giovani disposti a credere a qualsiasi cosa pur trovare qualcosa in cui credere. L’intento della giornalista è quello di far luce sui metodi di un’organizzazione che può disporre di un mezzo comunicativo potente e capillare come internet, così da arginare un fenomeno da cui è profondamente toccata.
Tantissime volte, infatti, nel corso delle sue inchieste Anna era entrata in contatto con giovani europei adescati sui social network e convinti a partire per la Siria, e nel suo ruolo di reporter non è mai riuscita a rimanere distaccata dalle situazioni con cui entrava in contatto; quando incontrava le famiglie disperate dei giovani partiti per combattere la Jihad non poteva fare a meno di partecipare al loro dolore costernato e alla loro voglia di comprendere come questo potesse accadere. E anche nel racconto della sua incredibile esperienza traspare il forte coinvolgimento personale dell’autrice, la quale afferma che a darle la spinta a continuare l’inchiesta nonostante il disagio emotivo che ne derivava e i pericoli oggettivi che correva era anche un certo desiderio di rivalsa verso Abu Bilel: la soddisfazione insomma di essere lei, durante le interminabili conversazioni su Skype, a condurre il gioco e a prendere in giro il terrorista, proprio mentre lui pensava di essere l’astuto adescatore dell’ingenua Mélanie.
Nella testa di una jihadista è un libro avvincente, che lascia col fiato sospeso dall’inizio alla fine, ma che nei momenti opportuni sa anche strappare un sorriso, ad esempio nei racconti degli atteggiamenti da «jihadolescente metrosexual» (p. 121) di Abu Bilel che si vanta della sua prestanza fisica e del suo successo con le donne. Il lato umano della protagonista traspare sempre, soprattutto nella sua inaspettata capacità di intravedere persino il lato umano del terrorista, riconoscendo in tanti suoi atteggiamenti un senso di solitudine e individuando nel suo proselitismo «un modo ufficioso di arginare il senso di isolamento» (p. 94).
L'AUTRICE
Giovane reporter francese, Anna Erelle, ha indagato a fondo la «propaganda digitale» dello Stato Islamico e i metodi di reclutamento utilizzati dai jihadisti su Internet, la cosiddetta «Jihad 2.0». Nel corso delle sue ricerche è venuta in contatto con decine di giovani europee «reclutate» sui social network e dichiaratesi pronte a partire per la Siria. Per comprendere meglio il fenomeno e realizzare un reportage ha creato l'identità fittizia di «Mélanie». Dalla pubblicazione del suo testo Anna Erelle ha ricevuto diverse minacce. Vive sotto scorta e sotto falsa identità.
Autore: Anna Erelle
Editore: Tre60
Pagine: 257
Anno di pubblicazione: 2015
Prezzo copertina: 14,00
Recensione a cura di Eleonora Cocola
Anna Erelle, giovane reporter francese, per sviscerare il fenomeno dell’arruolamento nelle file dello Stato Islamico di molti giovani occidentali, si crea un’identità fasulla su Facebook e dà vita a un avatar digitale, Mélanie, ventenne francese convertita all’Islam. Un giorno, nel marzo del 2014, Mèlanie condivide sulla sua pagina Facebook un video pubblicato dal terrorista dell’Isis Abu Bilel. Anna ancora non lo sa, ma in questo modo ha dato inizio a una catena di eventi destinati a sfuggirle di mano; Abu Bilel la contatta privatamente, insiste per conoscere Mèlanie su Skype, convinto di aver trovato l’ennesima ragazza da adescare per convincerla ad abbracciare la Jihad.
La giornalista si rende conto di avere a che fare con un pesce grosso. Abu Bilel infatti è il braccio destro del califfo dello stato islamico Abu Bakr al-Baghdadi: è un contatto importante, da cui potrebbe ricevere informazioni preziose e scoprire in maniera diretta i dettagli del reclutamento on line e della propaganda digitale operati dall’Isis. Allora la reporter indossa un velo e inizia ad impersonare Mèlanie, giovane confusa e vulnerabile, docile e facilmente influenzabile. Nel giro di pochi giorni il terrorista fa di tutto per convincere Mèlanie a partire, nonché a diventare sua moglie, riempiendole la testa con quadretti pittoreschi della meravigliosa vita che condurrà in Siria, lottando a fianco dei terroristi per la libertà e contribuendo a costruire un mondo migliore. Anna, decisa ad andare fino in fondo per completare il suo reportage, arriva a partire per la Siria, ma la situazione si complica, si fa rischiosa, e l’inchiesta viene interrotta bruscamente; Mèlanie scompare, ma la storia non finisce qui: non si può prendere in giro l’Islam senza pagarne le conseguenze, e nel luglio del 2014 viene lanciata contro Anna/Mèlanie una fatwa, una condanna a morte che costringe la reporter a cambiare identità e a vivere costantemente sotto scorta.
Quello di Anna Erelle è un racconto scioccante e coraggioso, ma soprattutto umano: a spingerla a rischiare consapevolmente la sua vita non è solo l’istinto del giornalista che vuole scoprire di più, ma soprattutto il desiderio di smascherare l’ipocrisia e la bassezza di un’organizzazione che approfitta del disagio di una generazione, della confusione e della debolezza di tanti giovani disposti a credere a qualsiasi cosa pur trovare qualcosa in cui credere. L’intento della giornalista è quello di far luce sui metodi di un’organizzazione che può disporre di un mezzo comunicativo potente e capillare come internet, così da arginare un fenomeno da cui è profondamente toccata.
Tantissime volte, infatti, nel corso delle sue inchieste Anna era entrata in contatto con giovani europei adescati sui social network e convinti a partire per la Siria, e nel suo ruolo di reporter non è mai riuscita a rimanere distaccata dalle situazioni con cui entrava in contatto; quando incontrava le famiglie disperate dei giovani partiti per combattere la Jihad non poteva fare a meno di partecipare al loro dolore costernato e alla loro voglia di comprendere come questo potesse accadere. E anche nel racconto della sua incredibile esperienza traspare il forte coinvolgimento personale dell’autrice, la quale afferma che a darle la spinta a continuare l’inchiesta nonostante il disagio emotivo che ne derivava e i pericoli oggettivi che correva era anche un certo desiderio di rivalsa verso Abu Bilel: la soddisfazione insomma di essere lei, durante le interminabili conversazioni su Skype, a condurre il gioco e a prendere in giro il terrorista, proprio mentre lui pensava di essere l’astuto adescatore dell’ingenua Mélanie.
Nella testa di una jihadista è un libro avvincente, che lascia col fiato sospeso dall’inizio alla fine, ma che nei momenti opportuni sa anche strappare un sorriso, ad esempio nei racconti degli atteggiamenti da «jihadolescente metrosexual» (p. 121) di Abu Bilel che si vanta della sua prestanza fisica e del suo successo con le donne. Il lato umano della protagonista traspare sempre, soprattutto nella sua inaspettata capacità di intravedere persino il lato umano del terrorista, riconoscendo in tanti suoi atteggiamenti un senso di solitudine e individuando nel suo proselitismo «un modo ufficioso di arginare il senso di isolamento» (p. 94).
L'AUTRICE
Giovane reporter francese, Anna Erelle, ha indagato a fondo la «propaganda digitale» dello Stato Islamico e i metodi di reclutamento utilizzati dai jihadisti su Internet, la cosiddetta «Jihad 2.0». Nel corso delle sue ricerche è venuta in contatto con decine di giovani europee «reclutate» sui social network e dichiaratesi pronte a partire per la Siria. Per comprendere meglio il fenomeno e realizzare un reportage ha creato l'identità fittizia di «Mélanie». Dalla pubblicazione del suo testo Anna Erelle ha ricevuto diverse minacce. Vive sotto scorta e sotto falsa identità.
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