Recensione: I FRUTTI DEL VENTO di Tracy Chevalier

Titolo: I frutti del vento
Autore: Tracy Chevalier
Editore: Neri Pozza
Pagine: 320
Anno di pubblicazione: 2016

Prezzo copertina: 17,00 €


Recensione a cura di Eleonora Cocola

È dura la vita nella Palude Nera: il fango, le zanzare, la malaria, il maltempo… Infatti i coniugi Goodenough ci sono capitati un po' per caso: dal Connecticut si sono spostati in Ohio per beneficiare dei vantaggi che il governo americano nella prima metà dell’Ottocento riservava ai “settlers”, i contadini che migravano nel selvaggio ovest; e a un certo punto, stremati dal viaggio, hanno deciso di fermarsi e piantare radici in questa terra inospitale e dura. Piantare radici non solo in senso figurato: James e Sadie
Goodenough, insieme ai loro dieci figli che la miseria e la malaria hanno dimezzato, vivono dei frutti del loro meleto. Un’attività non solo faticosissima, ma che li fa anche litigare tutto il tempo, perché James dedica più tempo e attenzioni alle sue piante di Golden, i frutti che sanno di noci e miele con un retrogusto di ananas, che alla sua famiglia. Sadie, depressa e arrabbiata, preferisce le mele aspre, buone per fare il sidro, con cui può ubriacarsi fino allo stordimento. L’unica cosa su cui i due vanno d’accordo è l’affetto per uno dei figli, Robert, che ha solo nove anni ma è in grado di capire tante cose meglio della maggior parte degli adulti.

La natura fa parte di questo romanzo alla stregua di un personaggio vero e proprio: è l’antagonista che fa piombare Sadie nell’alcolismo e che rende la vita difficile a James e ai suoi figli, ma è anche il grande amore di Robert, che lo porterà a girare l’America e a fare della sua passione per gli alberi un mestiere - perché per lui le sequoie della California sono molto più attrattive dell’oro, e sarà con i grandi alberi e con le mele, ricordo tangibile di suo padre, che farà fortuna. La natura proterva della Palude Nera impregna di sé anche le pagine di questo romanzo, sporca il linguaggio, lo rende crudo e talvolta volgare. Specie quando c’è di mezzo Sadie, personaggio così controverso e scomodo da risultare indimenticabile: l’alcol dà il via libera al lato peggiore, quello di moglie inviperita e violenta, madre snaturata e crudele; è davvero difficile capirla e ancora di più empatizzare con lei, ma la sua forza distruttiva è in grado di turbare profondamente e di rimanere impressa.

Sadie è il primo di tre personaggi femminili che spiccano e il più forte, praticamente lo specchio umano di quella natura selvaggia e crudele che lei odia. Sua figlia Martha e la prostituta Molly sono figure interessanti, dalle storie difficili e dalla personalità forte, ma impallidiscono all’ombra nera di Sadie: peccato che l’autrice ce le mostri un po' di sfuggita, e più che altro verso la fine del libro. In generale, alla fine della lettura si ha l’impressione che se qualche evento e personaggio fosse stato ulteriormente sviluppato ci saremmo trovati per le mani una grande saga familiare, un po’ alla Uccelli di rovo. Tanto spazio invece è dedicato a Robert, il figlio prediletto: come i frutti degli alberi crescono meglio tanto più vengono seminati lontano dalla pianta originaria, così i figli dei Goodenough hanno miglior sorte tanto più si allontanano dalla Palude Nera. Robert ne è la prova vivente, l’unico che riesce a sfuggire al marciume e alla sventura che colpisce i suoi famigliari (anche sua sorella Martha, altro seme che si distacca dall’albero originario, ma più tardi e con meno fortuna del fratello), e che quindi germoglia, andando incontro a un destino benevolo.

In questo ritratto realistico ed evocativo dell’America rurale dell’Ottocento, l’autrice dà vita alla storia dei Goodenough giocando con le voci e con i ritmi: all’inizio si alternano i punti di vista dei due coniugi, poi si stabilizza sul racconto delle avventure di Robert e, in piccola parte, delle vicende di Martha; con l’espediente del carteggio, il tempo si dilata e si restringe come una fisarmonica, tenendo viva l’attenzione di chi legge e dando al contempo un che di cinematografico alla narrazione. La lettura è in molte parti brutale ma molto potente; a tratti acquista scorrevolezza perdendo un po’ della sua forza.

L'AUTRICE
Tracy Chevalier è nata a Washington. Nel 1984 si è trasferita in Inghilterra, dove ha lavorato a lungo come editor. Il suo primo romanzo è La Vergine azzurra (Neri Pozza, 2005). Con La ragazza con l'orecchino di perla (Neri Pozza, 2000) ha ottenuto, nei numerosi paesi in cui il libro è apparso, un grandissimo successo di pubblico e di critica. Bestseller internazionali sono stati anche i suoi romanzi successivi: Quando cadono gli angeli (Neri Pozza, 2002), La dama e l'unicorno (Neri Pozza, 2003) e L'innocenza (Neri Pozza 2007). 

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