Recensione: LA PELLE DELL'ORSO di Matteo Righetto. Da questo libro l'omonimo film di Marco Segato al cinema dal 3 novembre
Titolo: La pelle dell'orso
Autore: Matteo Righetto
Editore: Guanda
Pagine: 160
Anno di pubblicazione: 2013
Prezzo copertina: 14,00 €
Recensione a cura di Eleonora Cocola
Sta arrivando l’autunno a Colle Santa Lucia, piccolo borgo ai piedi delle Dolomiti. Domenico Sieff ha solo dodici anni, ed è alle prese con la scuola, col freddo e con un padre che da quando ha perso la moglie è diventato distante, a tratti violento, e non fa altro che bere. Per fortuna ci sono le lunghe passeggiate al torrente e i racconti di Tom Sawyer, che gli danno una mano a sognare. Come se non bastasse, in paese girano voci inquietanti: un mostro terrorizza le montagne seminando morte e paura. Chi lo ha visto descrive una creatura enorme, con gli occhi rossi, un striscia grigia sulla schiena, zanne enormi, un tanfo di morte. Sembra il protagonista di un racconto dell’orrore venuto
dagli inferi, tanto da guadagnarsi il soprannome El Diàol, ma è drammaticamente reale. E Pietro Sieff ha deciso che lo scoverà e lo ucciderà, con l’aiuto di suo figlio.
L’avventura di Domenico e suo padre ha il sapore dell’iniziazione, del viaggio picaresco che segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta attraverso l’incontro/scontro con la realtà. La realtà qui è la natura, che assume la doppia faccia dell’evocazione suggestiva delle vette dolomitiche da una parte, e del leviatano contro cui l’uomo deve lottare dall’altra. Ma la caccia al mostro segna anche il riavvicinamento tra padre e figlio, l’abbattersi dei muri, il rinascere dei sentimenti. Come è intuibile sin dall’inizio del romanzo, dietro all’atteggiamento scontroso di Pietro c’è un lutto mai superato, e dietro alla sua determinazione a tornare al paese con la testa dell’orso c’è un forte desiderio di riscatto.
In questo romanzo convergono una serie di topics e situazioni che fanno sempre presa: il rapporto fra uomo e natura, quello fra padre e figlio, fra uomo e società, con tutto il bagaglio di emozioni che ne derivano. In più però Marco Righetto ha saputo fare alcune cose non facili né scontate, tipo ambientare la storia di Domenico in un mondo popolare e pieno di fascino, inscrivendola nella Storia di una tragedia collettiva che segnò per sempre un’intera comunità, se non un’intera Nazione. Lo stile è rapido, incalzante: la trama è scandita in capitoli brevi, che non indugiano troppo né sulle descrizioni esteriori del paesaggio né su quelle interiori dei protagonisti. Il culmine del riavvicinamento tra padre e figlio è sintetizzato in un capitolo di brevità ungarettiana, che racchiude tutto l’essenziale in una riga («Ti voglio bene, Menego»). Ben prima di andare sul grande schermo, cosa che farà a giorni, questo romanzo rivela apertamente la sua identità cinematografica proprio nel momento clou: «Per un attimo gli sembrò di vedersi da fuori e assistere ad un momento importante e quasi magico, come se quei minuti e quell'istante in particolare fossero un capitolo fondamentale della sua vita, quello che la professoressa di italiano parlando di cinema avrebbe chiamato scena madre».
Autore: Matteo Righetto
Editore: Guanda
Pagine: 160
Anno di pubblicazione: 2013
Prezzo copertina: 14,00 €
Recensione a cura di Eleonora Cocola
Sta arrivando l’autunno a Colle Santa Lucia, piccolo borgo ai piedi delle Dolomiti. Domenico Sieff ha solo dodici anni, ed è alle prese con la scuola, col freddo e con un padre che da quando ha perso la moglie è diventato distante, a tratti violento, e non fa altro che bere. Per fortuna ci sono le lunghe passeggiate al torrente e i racconti di Tom Sawyer, che gli danno una mano a sognare. Come se non bastasse, in paese girano voci inquietanti: un mostro terrorizza le montagne seminando morte e paura. Chi lo ha visto descrive una creatura enorme, con gli occhi rossi, un striscia grigia sulla schiena, zanne enormi, un tanfo di morte. Sembra il protagonista di un racconto dell’orrore venuto
dagli inferi, tanto da guadagnarsi il soprannome El Diàol, ma è drammaticamente reale. E Pietro Sieff ha deciso che lo scoverà e lo ucciderà, con l’aiuto di suo figlio.
L’avventura di Domenico e suo padre ha il sapore dell’iniziazione, del viaggio picaresco che segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta attraverso l’incontro/scontro con la realtà. La realtà qui è la natura, che assume la doppia faccia dell’evocazione suggestiva delle vette dolomitiche da una parte, e del leviatano contro cui l’uomo deve lottare dall’altra. Ma la caccia al mostro segna anche il riavvicinamento tra padre e figlio, l’abbattersi dei muri, il rinascere dei sentimenti. Come è intuibile sin dall’inizio del romanzo, dietro all’atteggiamento scontroso di Pietro c’è un lutto mai superato, e dietro alla sua determinazione a tornare al paese con la testa dell’orso c’è un forte desiderio di riscatto.
In questo romanzo convergono una serie di topics e situazioni che fanno sempre presa: il rapporto fra uomo e natura, quello fra padre e figlio, fra uomo e società, con tutto il bagaglio di emozioni che ne derivano. In più però Marco Righetto ha saputo fare alcune cose non facili né scontate, tipo ambientare la storia di Domenico in un mondo popolare e pieno di fascino, inscrivendola nella Storia di una tragedia collettiva che segnò per sempre un’intera comunità, se non un’intera Nazione. Lo stile è rapido, incalzante: la trama è scandita in capitoli brevi, che non indugiano troppo né sulle descrizioni esteriori del paesaggio né su quelle interiori dei protagonisti. Il culmine del riavvicinamento tra padre e figlio è sintetizzato in un capitolo di brevità ungarettiana, che racchiude tutto l’essenziale in una riga («Ti voglio bene, Menego»). Ben prima di andare sul grande schermo, cosa che farà a giorni, questo romanzo rivela apertamente la sua identità cinematografica proprio nel momento clou: «Per un attimo gli sembrò di vedersi da fuori e assistere ad un momento importante e quasi magico, come se quei minuti e quell'istante in particolare fossero un capitolo fondamentale della sua vita, quello che la professoressa di italiano parlando di cinema avrebbe chiamato scena madre».
L'AUTORE
Matteo Righetto è nato a Padova, nel 1972, dove insegna Lettere. Ha pubblicato Savana Padana (Zona 2009, poi TEA 2012), Bacchiglione Blues (Perdisa Pop 2011) e La pelle dell’orso (Guanda 2013), che sarà portato sugli schermi da Marco Paolini, per la regia di Marco Segato. I suoi libri sono stati tradotti in inglese e francese.
Matteo Righetto è nato a Padova, nel 1972, dove insegna Lettere. Ha pubblicato Savana Padana (Zona 2009, poi TEA 2012), Bacchiglione Blues (Perdisa Pop 2011) e La pelle dell’orso (Guanda 2013), che sarà portato sugli schermi da Marco Paolini, per la regia di Marco Segato. I suoi libri sono stati tradotti in inglese e francese.
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