"Erano tutti miei figli" di Arthur Miller con Mariano Rigillo e Anna Teresa Rossini, regia Giuseppe Dipasquale, al teatro Quirino (Roma) dal 28 marzo al 2 aprile
Comunicato stampa
«Nella prodigiosa struttura della pièce – evidenzia Giuseppe Dipasquale – convivono allegoria e stringente concretezza. Un dramma familiare si fa paradigma dei traumi che travagliano ancora oggi la società postindustriale. L’impianto concepito per la nostra messinscena trasporta lo spettatore dentro il perimetro di un interno alto-borghese,
le cui pareti assorbono da anni verità malcelate e ansie manifeste di responsabilità troppo a lungo sottaciute.
Un tono esteriore da “conversazione galante” rende anzi più inquietante la logica spietata su cui si fonda una ricchezza accumulata senza scrupoli, frutto di ciniche equazioni tra guadagno e disonestà, successo e frode, illegalità e menzogna. A prevalere è il modello della società di massa, la ricerca acritica di un benessere solo economico, inconsapevole o peggio incurante di conseguenze funeste. Laddove l’errore di un padre diventa incarnazione di un sistema perverso che minaccia i figli di tutti. Miller non è un facile autore. Non lo è per la sua penetrante semplicità. Questo dramma, in particolare, è interamente costruito su un meccanismo che poggia sul modello della tragedia classica, ma reinventata sui moduli drammaturgici, del tutto moderni, del dramma borghese. Ne viene fuori una scrittura che ha la forza dell’acciaio e la limpidezza dell’argento. Tutto ciò avrebbe potuto spaventare il pubblico. Invece, con un appuntamento che puntualmente restituisce dalla platea lo stesso riscontro, il pubblico tributa allo spettacolo delle autentiche ovazioni. La compagnia, in due anni di tournée, riscontra e riferisce con gioia di questo contagio emotivo che ha con il pubblico di ogni città. E questo è il miglior risultato che si possa sperare. La sua sconcertante modernità. Joe Keller, la sua vicenda familiare e sociale, è il modello di una classe che ha invertito i valori. Questo dramma è la spietata analisi del fallimento del capitalismo contemporaneo che pur poggiando su principi condivisibili, ma vissuti nell’apparenza della loro consistenza, ovvero famiglia, casa benessere, ribalta nell’agire quotidiano le priorità. Miller propone una società che gioca con la vita, col denaro e pur anche con i sentimenti, senza che questo comporti, a volte consapevolezza del crimine. Solo un atto tragico, intimo, familiare, mette in discussione l’impianto, restituendo alla vicenda e ai suoi personaggi la necessaria catarsi».
Pubblicato nel 1947, Erano tutti miei figli (All my Sons) è il primo grande successo teatrale di Arthur Miller, testo di svolta della carriera dello scrittore americano, adattato anche per il grande schermo, che precede il noto Morte di un commesso viaggiatore (Death of a Salesman) del 1949. Il dramma è incentrato sulla figura dell’imprenditore Joe Keller, il quale durante la seconda guerra mondiale, da poco terminata, non aveva esitato a trarre profitti dalla vendita di pezzi “difettosi” destinati all’aeronautica militare, che erano costati la vita a ben 21 piloti. Arrestato per fornitura di materiale non conforme alle norme, l’uomo riesce a scagionarsi dall’accusa scaricando tutta la responsabilità sul suo socio, che Keller sacrifica impassibile alla sua brillante carriera di magnate. Intanto la sua famiglia fa i conti da tre anni con il dramma della scomparsa in guerra di un figlio mai ritrovato. Sarà la giovane fidanzata del ragazzo – figlia del socio finito in galera – della quale si è innamorato anche il fratello che la vuole sposare, a far emergere le contraddizioni nella vicenda e a svelare i misfatti e le verità abilmente celate dal cinico industriale. Rigirando il coltello nelle piaghe della società americana del secondo dopoguerra, Arthur Miller infrange gli ideali della famiglia, del successo e del denaro: il suo Joe Keller incarna una “minaccia” per la società non in ragione di ciò che ha commesso ma perché rifiuta di ammettere la sua responsabilità civile, convinto che un certo grado di illegalità sia necessario. “Un grandissimo testo – dichiara Mariano Rigillo – che come tutti i veri capolavori conserva un’attualità costante. Scritto immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, ha un riferimento molto preciso a quell’epoca, ma la corruzione, la spregiudicatezza e il cinismo del magnate dell’industria di cui parla possiamo ritrovarli facilmente anche oggi”.
«Nella prodigiosa struttura della pièce – evidenzia Giuseppe Dipasquale – convivono allegoria e stringente concretezza. Un dramma familiare si fa paradigma dei traumi che travagliano ancora oggi la società postindustriale. L’impianto concepito per la nostra messinscena trasporta lo spettatore dentro il perimetro di un interno alto-borghese,
le cui pareti assorbono da anni verità malcelate e ansie manifeste di responsabilità troppo a lungo sottaciute.
Un tono esteriore da “conversazione galante” rende anzi più inquietante la logica spietata su cui si fonda una ricchezza accumulata senza scrupoli, frutto di ciniche equazioni tra guadagno e disonestà, successo e frode, illegalità e menzogna. A prevalere è il modello della società di massa, la ricerca acritica di un benessere solo economico, inconsapevole o peggio incurante di conseguenze funeste. Laddove l’errore di un padre diventa incarnazione di un sistema perverso che minaccia i figli di tutti. Miller non è un facile autore. Non lo è per la sua penetrante semplicità. Questo dramma, in particolare, è interamente costruito su un meccanismo che poggia sul modello della tragedia classica, ma reinventata sui moduli drammaturgici, del tutto moderni, del dramma borghese. Ne viene fuori una scrittura che ha la forza dell’acciaio e la limpidezza dell’argento. Tutto ciò avrebbe potuto spaventare il pubblico. Invece, con un appuntamento che puntualmente restituisce dalla platea lo stesso riscontro, il pubblico tributa allo spettacolo delle autentiche ovazioni. La compagnia, in due anni di tournée, riscontra e riferisce con gioia di questo contagio emotivo che ha con il pubblico di ogni città. E questo è il miglior risultato che si possa sperare. La sua sconcertante modernità. Joe Keller, la sua vicenda familiare e sociale, è il modello di una classe che ha invertito i valori. Questo dramma è la spietata analisi del fallimento del capitalismo contemporaneo che pur poggiando su principi condivisibili, ma vissuti nell’apparenza della loro consistenza, ovvero famiglia, casa benessere, ribalta nell’agire quotidiano le priorità. Miller propone una società che gioca con la vita, col denaro e pur anche con i sentimenti, senza che questo comporti, a volte consapevolezza del crimine. Solo un atto tragico, intimo, familiare, mette in discussione l’impianto, restituendo alla vicenda e ai suoi personaggi la necessaria catarsi».
Pubblicato nel 1947, Erano tutti miei figli (All my Sons) è il primo grande successo teatrale di Arthur Miller, testo di svolta della carriera dello scrittore americano, adattato anche per il grande schermo, che precede il noto Morte di un commesso viaggiatore (Death of a Salesman) del 1949. Il dramma è incentrato sulla figura dell’imprenditore Joe Keller, il quale durante la seconda guerra mondiale, da poco terminata, non aveva esitato a trarre profitti dalla vendita di pezzi “difettosi” destinati all’aeronautica militare, che erano costati la vita a ben 21 piloti. Arrestato per fornitura di materiale non conforme alle norme, l’uomo riesce a scagionarsi dall’accusa scaricando tutta la responsabilità sul suo socio, che Keller sacrifica impassibile alla sua brillante carriera di magnate. Intanto la sua famiglia fa i conti da tre anni con il dramma della scomparsa in guerra di un figlio mai ritrovato. Sarà la giovane fidanzata del ragazzo – figlia del socio finito in galera – della quale si è innamorato anche il fratello che la vuole sposare, a far emergere le contraddizioni nella vicenda e a svelare i misfatti e le verità abilmente celate dal cinico industriale. Rigirando il coltello nelle piaghe della società americana del secondo dopoguerra, Arthur Miller infrange gli ideali della famiglia, del successo e del denaro: il suo Joe Keller incarna una “minaccia” per la società non in ragione di ciò che ha commesso ma perché rifiuta di ammettere la sua responsabilità civile, convinto che un certo grado di illegalità sia necessario. “Un grandissimo testo – dichiara Mariano Rigillo – che come tutti i veri capolavori conserva un’attualità costante. Scritto immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, ha un riferimento molto preciso a quell’epoca, ma la corruzione, la spregiudicatezza e il cinismo del magnate dell’industria di cui parla possiamo ritrovarli facilmente anche oggi”.
ORARI SPETTACOLI
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giovedì 30 marzo ore 17
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mail biglietteria@teatroquirino.it
segreteria 06.6783042 int.1
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