Recensione "Bande à part", la versione restaurata al cinema dal 12 febbraio

Recensione a cura di Mario Turco

Grazie alla meritevole iniziativa della casa di distribuzione “Movies Inspired” uno dei più grandi capolavori della Nouvelle Vague “Bande à part” trova nuova vita tornando nelle sale cinematografiche dal 12 Febbraio in una versione restaurata. Il lavoro di recupero fatto sulla pellicola diretta da Jean-Luc Godard nel 1964 è molto buono dal punto di vista visivo, dato che interviene discretamente sui fotogrammi originali eliminando solo le sgranature e le imperfezioni della celluloide, lasciando piuttosto che il bianco e nero conservino la loro eleganza originale. Per quanto riguarda il sonoro invece il ritocco è pressoché nullo, limitato a una pulizia dell’audio, ma anche questa scelta giova alla nuova versione che mantiene intatta la presa diretta della vita raccontata dal film. 

54 anni dopo la sua prima uscita nelle sale di tutto il mondo, Bande à part continua a sorprendere per la sua maniera così realistica di raccontare una porzione di eventi accorsi in pochi giorni ai tre protagonisti della vicenda. “La fotografia è verità, il cinema è verità ventiquattro volte al secondo”- diceva il protagonista del film precedente del regista francese. Ed è davvero strabiliante come per riuscire a raggiungere questo effetto, Godard si serva alla base di una storia da b-movie americano, tratta molto liberamente da un libro noir consigliatogli dall’amico Truffaut. La storia di Odile, Franz e Arthur alle prese con una rapina da effettuare all’interno dell’abitazione dove la ragazza lavora come domestica, è la struttura portante del film che ha un inizio e una fine ben delimitati, ripresi in maniera tipicamente cinematografica. Eppure si ha quasi la sensazione di essere di fronte a un Mac-Guffin narrativo, dove la vicenda criminale è solo il pretesto per raccontare le vite sbalestrate dei tre protagonisti. 

Il colpo è importante quanto il triangolo amoroso che s’instaura vicendevolmente tra loro in un profluvio di parole e immagini raccontate senza i didascalismi delle vituperate/adorate sceneggiature statunitensi. Odile ama Arthur, Franz ama Odile, Arthur ama se stesso naturalmente ma esiste un altro triangolo più sotterraneo che alla fine troverà amaro e gioioso epilogo: Franz ama il Sud-America, Arthur ama il denaro, Odile ama Franz. Godard riesce a far accadere questo sulla scena filmando i momenti all’apparenza non significativi della vita dei tre giovani, colorandoli al contempo con le maniere del cinema più sperimentale: il ballo improvvisato nel bistrot è l’emblema di questa tesi. Si tratta di una scena immotivata, quasi gratuita per lunghezza e modalità di ripresa (è un long- take di due minuti con un leggero movimento della telecamera) arricchita peraltro da una coreografia costata quindici giorni di studio da parte degli attori. Eppure in questa danza si palesa un sottile studio psicologico dei personaggi: Franz rigido e impettito vuol far colpo su Odile, Arthur giocherella più rilassato sicuro del suo fascino, Odile comincia timida e poi si lascia andare. 

Inoltre Godard esplicita in maniera provocatoria i sentimenti delle proprie creature filmiche con un proprio voice-over che invece di appesantire ha il miracolo di aggiungere altra tensione sentimentale: - “Arthur si guarda continuamente i piedi, ma pensa alla bocca di Odile, ai suoi baci romantici; Odile si chiede se i due ragazzi hanno notato i suoi seni che ballano ad ogni passo sotto il golf; Frantz pensa a tutto e a niente, non sa se è il mondo che sta diventando sogno o il sogno a diventare mondo”. Bande à part riesce, nonostante l’impegno profuso (lo sguardo in macchina di Odile, le citazioni letterarie e filmiche), a far dimenticare che in fondo si tratta solo di finzione cinematografica. Lo fa con autentica grazia e passione cinefila che merita di essere vista nuovamente nel buio di una sala.

LIBRI & CULTURA CONSIGLIA...