Recensione a cura di Mario Turco
Da qualche anno il cinema resiste all’invasione degli altri mass-media allargando i confini dei propri prodotti. Non soltanto film ma tanti eventi speciali in anteprima e con la miglior qualità tecnica possibile che acquistano un surplus esperienziale difficilmente eguagliabile dagli altri pur agguerriti concorrenti. Il docufilm sul pittore/rockstar dell’arte moderna “Caravaggio - L’anima e il sangue”, prodotto da Sky e Magnitudo Film si instrada felicemente su questa scia, forte anche dell’ampio numero di sale (sparse su “350 città d’Italia”, riferisce giustamente entusiasta Franco Di Sarro, amministratore delegato di Nexo digital) che lo proietteranno per tre giorni, dal 19 al 21 Febbraio. L’opera diretta da Jesus Garces Lambert è una biografia artistica che cerca di superare le alte barriere del genere con slanci visivi di chiara matrice cinematografica. - “Un film che unisce il rigore scientifico del documentario all’emotività della fiction”, sottolinea Carlo Strinati che ha fatto da consulente tecnico dell’opera in qualità di storico dell’arte. In effetti Caravaggio - L’anima e il sangue, sin dal titolo evocativamente espressionista, ricerca con coscienza questa
ibridazione narrativa di due generi quasi opposti tra loro: il pedagogismo dei documentari d’arte e una certa ricerca visuale che rimanda alla magniloquenza delle serie tv mischiata al simbolismo della video-arte. Per quanto riguarda la prima dimensione ci troviamo di fronte alla classica biografia di Caravaggio che tutti conosciamo per sommi capi, ampliata con un uso avveniristico della tecnologia di ripresa delle opere. L’8K restituisce con ancor più dettaglio dell’imperfetto occhio umano perfino la stratificazione delle pennellate del pittore attraverso una resa su schermo che riprende il taglio orizzontale delle opere originali. Inoltre con uno uso discreto della CGI, il docufilm tenta una sorta di rendering 3D dei capolavori caravvegeschi raggiungendo effetti di viva partecipazione dello spettatore a cui sembra di poter interagire con i soggetti dipinti.
ibridazione narrativa di due generi quasi opposti tra loro: il pedagogismo dei documentari d’arte e una certa ricerca visuale che rimanda alla magniloquenza delle serie tv mischiata al simbolismo della video-arte. Per quanto riguarda la prima dimensione ci troviamo di fronte alla classica biografia di Caravaggio che tutti conosciamo per sommi capi, ampliata con un uso avveniristico della tecnologia di ripresa delle opere. L’8K restituisce con ancor più dettaglio dell’imperfetto occhio umano perfino la stratificazione delle pennellate del pittore attraverso una resa su schermo che riprende il taglio orizzontale delle opere originali. Inoltre con uno uso discreto della CGI, il docufilm tenta una sorta di rendering 3D dei capolavori caravvegeschi raggiungendo effetti di viva partecipazione dello spettatore a cui sembra di poter interagire con i soggetti dipinti.
La narrazione delle avversità dell’artista di Caravaggio (non ce ne vogliano gli autori che esibiscono per la prima volta su schermo i documenti che collocano la sua nascita a Milano: sarà difficile che gli storici e il grande pubblico trovino un altro nomignolo a Michelangelo Merisi) è raccontata andando a cercare testimonianze nei luoghi dove egli ha vissuto o fuggito: Roma, Napoli, Firenze, Milano, la Sicilia e Malta. Questa parte si avvale di una tecnica di racconto moderna, con l’affabulazione emotiva tipica dei prodotti d’eccellenza Sky: carrellate morbide sui dipinti e sui luoghi, montaggio serrato, decentramento del soggetto parlante (perfino il buon Strinati sembra cool con siffatte inquadrature). Ciò che questa peculiarità di racconto aggiunge alla parte artistica del documentario va però a togliere all’altro segmento del film, quello che prova a mettere su schermo tramite l’ausilio di metafore visive i possibili pensieri dello stesso Caravaggio. Qui la sceneggiatura si smarrisce in tentativi poetici di risma adolescenziale, gravati da una solennità completamente fuori tono rispetto alla banalità con cui si susseguono. Non aiuta in questo senso la regia che prende sì persone dalla strada (l’alter-ego del pittore è interpretato dall’elettricista della troupe) ma fallisce completamente il bersaglio aderendo a uno stile patinato molto lontano dal realismo a più riprese enfatizzato del pittore milanese.
Il film non esce mai dal capannone industriale ove mette su una serie di “intervalli” in prima persona sulle sue sofferenze e i demoni personali mischiati abbastanza sterilmente con elementi iper-contemporanei (i blue-jeans dell’avatar filmico di Caravaggio, le unghie smaltate di giallo di una delle sue donne). Anche il pubblicizzato uso della voce di Manuel Agnelli è in realtà giocato tutto su questa dimensione introspettiva volto a inscurire ancor di più le tetre (finte) esclamazioni del pittore. Un tentativo apprezzabile per ambizione ma che scivola via di fronte all'incomparabile bellezza delle 40 opere trattate dal film con dovizia di lettura e una giusta lontananza dal rischio di sensazionalismo che la vita del pittore si porta dietro da parte di certo pubblico di bocca buona. Insomma, dell’anima di Caravaggio resta poco, del sangue delle sue opere fortunatamente tantissimo.