La recensione in anteprima di "Don't worry", il nuovo film di Gus Van Sant con Joaquin Phoenix, Rooney Mara, Johan Hill e Jack Black

Jonah Hill e Joaquin Phoenix
Recensione a cura di Mario Turco

Il percorso autoriale di Gus Van Sant, se non proprio bislacco, si può quantomeno definire accidentato. E come una strada provinciale che alterna chilometri di tracciato asfaltato ad altri dal profilo più sterrato, anche la carriera del regista statunitense propone momenti di cinema disteso a crateri autoriali come “La foresta dei suicidi”, tanto per fare un esempio

recente. Il suo ultimo film “Don’t worry”, nelle sale italiane dal 29 Agosto, si situa abbastanza decisamente nel suo cinema più riuscito nonostante alcune sbandate notevoli che si tratteranno da qui a breve. L’ultimo opera di Van Sant è un biopic piuttosto classico sulla vita di John Callahan, fumettista statunitense che è riuscito ad avere successo nonostante la tetraplegia che l’ha costretto su una sedia a rotelle sin dall’età di 21 anni. Le sue corrosive vignette, ospitate dai maggiori giornali statunitensi, sfondarono a più riprese il muro del politically correct e fecero della grossolanità del tratto, dello sberleffo verso santini laici/religiosi il marchio di fabbrica di uno stile che ebbe numerose affinità con i colleghi satirici europei (in Italia Ellekappa su tutti). 

Rooney Mara
Il progetto del racconto della vita dell’irriverente cartoonist parte da lontano, da almeno 20 anni fa, quando fu l’attore Robin Williams ad innamorarsi dell’ auto-biografia “Don't Worry, He Won't Get Far on Foot”. Nelle intenzioni dell’attore sarebbe dovuto essere egli stesso a interpretarlo ma lungaggini produttive hanno fatto sì che solo adesso l’opera sia riuscita a vedere il buio della sala con, nelle parti del protagonista, l’eccezionale Joaquin Phoenix. Il tributo all’ispiratore del progetto è testimoniato dalla dedica finale nei titoli di coda. Per quanto riguarda il film vero e proprio, esso ha un andamento a spirale concentrica, con il dramma dell’incidente che paralizzò Callahan dal torace in giù che torna insistentemente più volte ed attira a sé gli altri eventi raccontati, a spiegare il perché quel fatto sia stato semplicemente il punto di rottura di un alcolismo coltivato forsennatamente. In effetti Van Sant racconta il vizio del bere come se fosse quella la vera disabilità del protagonista. Callahan infatti non si lamenta mai della sua impossibilità a muoversi, non lo vediamo spesso in difficoltà per questo handicap e riesce addirittura ad avere una relazione sessuale con l’hostess svedese interpretata dall’incantevole Rooney MaraDon't worry” sceglie piuttosto di seguire con partecipazione la presa di coscienza di Callahan della sua dipendenza attraverso l’eclettico gruppo di Alcolisti Anonimi al quale si iscrive quasi per caso. 

Joaquin Phoenix
Per quasi un’ora e mezza “Don’t worry” si barcamena attraverso la saggia regia di Van Sant (che comunque non rinuncia ad alcuni suoi vezzi come gli spit-screen e l’inserimento forzoso di tematiche queer) tra il dramma di una dipendenza prima osteggiata, poi accettata e infine superata ed entusiastiche scene di riscatto senza riuscire a cadere nei facili patetismi che spesso appesantiscono film similari. Anche la scena dei ragazzini in skateboard, molto lontani dalla violenza dei loro coetanei in “Elephant”, che rialzano Callahan dopo una caduta dalla sedia a rotelle motorizzata portandolo con loro a fare qualche trick suggella con affetto cinematografico la parabola esistenziale del fumettista.

Jack Black e Joaquin Phoenix
Prima di arrivare però a questo dolce finale Van Sant non riesce a rinunciare del tutto al sermone new-age cadendo nel kitsch involontario. Quando il protagonista al termine del passo 12 del percorso di riabilitazione si scusa con tutti quelli che aveva offeso nella sua vita andando perfino a cercare l’uomo che guidava la macchina la maledetta sera dello schianto (interpretato da un Jack Black mai così sofferto e verosimile) si tracima dalla leggerezza briosa che aveva contrassegnato il film fino a quel momento al buonismo da editoriale di rivista medio-progressista. E anche l’improvvida malattia di Donnie, assieme alla nefasta volontà di dargli un background solo alla fine del film toglie parzialmente fascino ad una figura fin lì affascinante ma che soprattutto ha il demerito di mozzare l’interpretazione fin lì entusiasmante dell’attore, Jonah Hill, che probabilmente sarà comunque candidato alla prossima cerimonia degli Oscar come attore non protagonista. Come nota a margine si segnala la bravura di Van Sant nella direzione degli attori con la presenza incisiva di Beth Ditto, leader dei Gossip e Kim Gordon, ex-chitarrista dei..., vabbè questa è troppo facile!

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