Titolo: Iron Flowers
Autore: Tracy Banghart
Editore: DeA
Pagine: 382
Anno di pubblicazione: 2018
Prezzo copertina: 15,90 €
Recensione a cura di Marika Bovenzi
Molti sono i libri la cui tematica cardine ruota intorno alle donne e alla loro voglia di ribellarsi e cambiare una società in cui sono oppresse e denigrate. E ancora di più sono quelli che cercano di elogiarle e venerarle. E proprio in questo frangente, Tracy Banghart ha scritto un romanzo che non ha nulla a che vedere con i precedenti libri che abbiamo letto. L’autrice con maestria e sapienza ha costruito un mondo antico, basato su leggi obsolete, ferree e denigratorie. Un regno in cui tutto dipende dalle decisioni degli uomini, e da quelle di un vecchio governante chiamato il Supremo che non fa che passare le sue giornate ad oziare, odiare le donne ed usarle per il suo diletto. Quest’ultimo ha istituito addirittura una legge che gli permette di scegliere le donne più belle del regno per farle diventare le sue Grazie, figure all’apparenza
sottomesse, deboli e fragili il cui unico scopo nella vita è quello di dilettare uomini prepotenti. Ma se la situazione è offensiva e denigrante all’interno della corte, è ben peggiore nei villaggi: qui le donne non hanno scelta, non possono amare o sposare chi vogliono, possono diventare lavoratrici in fabbrica o sguattere, non possono divertirsi, non possono rifiutare le richieste degli uomini. E come se non bastasse alle donne è assolutamente vietato saper leggere e scrivere, istruirsi e acculturarsi.
In questo clima così ostile e asfissiante, una piccola famiglia abita a Viridia e cerca con tutti i mezzi di sopravvivere e assicurarsi la sussistenza. Il padre e la madre lavorano in fabbrica; la figlia maggiore, Serina, viene istruita all’etichetta, alla danza, alla musica, al ricamo e al compiacere, per diventare una Grazia; e i figli minori Nomi e Renzo, sono rispettivamente una serva e uno scolaro. In questo nucleo così semplice e apparentemente ordinario, vige del malcontento: Nomi, non vuole quella vita di servitù e riverenze; non aspira a diventare l’ennesima sottomessa e non approva le leggi di quel regno oppressore. Così nel suo piccolo impara a leggere e a ribellarsi, fino a quando sua sorella Serina non viene scelta come Grazia per il regno ed è costretta a seguirla come sua ancella. Una volta a palazzo però, le cose si complicheranno, e l’Erede al trono, Malachi, attratto dallo spirito ribelle di Nomi, sceglierà lei come sua Grazia e non sua sorella che, nonostante le rimostranze sarà costretta a diventare sua ancella. Ma complice un libro, una trappola e un sovrano dispotico, Serina viene mandata a Monte Rovina, una prigione squallida fatta di lava, fame, disperazione e sangue; mentre Nomi è costretta a vivere in una gabbia dorata fatta di pizzi, vestiti sgargianti, trame politiche, congiure e tradimenti. Le sorelle si ritroveranno ad affrontare prove ardue e a lottare strenuamente per la propria sopravvivenza, fino a quando ribellarsi ed ergersi contro il regno non sarà l’unica scelta.
Lo stile è diretto e accattivante e accompagna un linguaggio semplice, ma ricco di dialoghi. La particolarità di questo romanzo è quella di descrivere una condizione -fin troppo attuale- della donna che ancora oggi si ritrova a combattere per superare determinati pregiudizi, negazioni e accanimenti. Tracy Banghart, non descrive donne stereotipate e perfette, al contrario, sono delle figure con pregi e difetti, paure e fragilità, forza e dubbi. E proprio due tra queste, sono le protagoniste principali della storia: da un lato troviamo Nomi, un’indomita ragazza, sognatrice di un mondo libero pieno di libri, una ribelle nata che non smette di combattere nonostante le disavventure; dall’altro Serina, una giovane donna all’apparenza fragile, composta e mogia che non esita a lottare con le unghie e con i denti per il bene della sorella e per se stessa. Per quanto riguarda la fazione maschile invece, abbiamo i due fratelli reali Malachi e Asa, il primo gentile, accorto e rassicurante, e il secondo subdolo e malvagio; e Valentino, una guardia della prigione-isola con un animo sensibile e rivoluzionario. La cosa sorprendente di questo romanzo, oltre al modo in cui le donne trovano il coraggio negli attimi più bui, è il forte richiamo alla cultura, all’architettura e all’onomastica italiana ed europea.
In conclusione è un romanzo di forte impatto, un fantasy distopico che vale assolutamente la pena di leggere.
L'AUTRICE
Cresciuta nelle campagne del Maryland, tra scoiattoli volanti e campi di granoturco, Tracy Banghart ha conseguito un master in editoria presso la Oxford Brookes University, in Inghilterra. Ha una passione sfrenata per i cupcake e sin da piccola si è dedicata alla scrittura. A causa del lavoro del marito nell’esercito, si sposta continuamente insieme a tutta la famiglia, ma in estate riesce sempre a tornare nella magnifica isoletta di Temagami, in Canada.
Autore: Tracy Banghart
Editore: DeA
Pagine: 382
Anno di pubblicazione: 2018
Prezzo copertina: 15,90 €
Recensione a cura di Marika Bovenzi
Molti sono i libri la cui tematica cardine ruota intorno alle donne e alla loro voglia di ribellarsi e cambiare una società in cui sono oppresse e denigrate. E ancora di più sono quelli che cercano di elogiarle e venerarle. E proprio in questo frangente, Tracy Banghart ha scritto un romanzo che non ha nulla a che vedere con i precedenti libri che abbiamo letto. L’autrice con maestria e sapienza ha costruito un mondo antico, basato su leggi obsolete, ferree e denigratorie. Un regno in cui tutto dipende dalle decisioni degli uomini, e da quelle di un vecchio governante chiamato il Supremo che non fa che passare le sue giornate ad oziare, odiare le donne ed usarle per il suo diletto. Quest’ultimo ha istituito addirittura una legge che gli permette di scegliere le donne più belle del regno per farle diventare le sue Grazie, figure all’apparenza
sottomesse, deboli e fragili il cui unico scopo nella vita è quello di dilettare uomini prepotenti. Ma se la situazione è offensiva e denigrante all’interno della corte, è ben peggiore nei villaggi: qui le donne non hanno scelta, non possono amare o sposare chi vogliono, possono diventare lavoratrici in fabbrica o sguattere, non possono divertirsi, non possono rifiutare le richieste degli uomini. E come se non bastasse alle donne è assolutamente vietato saper leggere e scrivere, istruirsi e acculturarsi.
In questo clima così ostile e asfissiante, una piccola famiglia abita a Viridia e cerca con tutti i mezzi di sopravvivere e assicurarsi la sussistenza. Il padre e la madre lavorano in fabbrica; la figlia maggiore, Serina, viene istruita all’etichetta, alla danza, alla musica, al ricamo e al compiacere, per diventare una Grazia; e i figli minori Nomi e Renzo, sono rispettivamente una serva e uno scolaro. In questo nucleo così semplice e apparentemente ordinario, vige del malcontento: Nomi, non vuole quella vita di servitù e riverenze; non aspira a diventare l’ennesima sottomessa e non approva le leggi di quel regno oppressore. Così nel suo piccolo impara a leggere e a ribellarsi, fino a quando sua sorella Serina non viene scelta come Grazia per il regno ed è costretta a seguirla come sua ancella. Una volta a palazzo però, le cose si complicheranno, e l’Erede al trono, Malachi, attratto dallo spirito ribelle di Nomi, sceglierà lei come sua Grazia e non sua sorella che, nonostante le rimostranze sarà costretta a diventare sua ancella. Ma complice un libro, una trappola e un sovrano dispotico, Serina viene mandata a Monte Rovina, una prigione squallida fatta di lava, fame, disperazione e sangue; mentre Nomi è costretta a vivere in una gabbia dorata fatta di pizzi, vestiti sgargianti, trame politiche, congiure e tradimenti. Le sorelle si ritroveranno ad affrontare prove ardue e a lottare strenuamente per la propria sopravvivenza, fino a quando ribellarsi ed ergersi contro il regno non sarà l’unica scelta.
Lo stile è diretto e accattivante e accompagna un linguaggio semplice, ma ricco di dialoghi. La particolarità di questo romanzo è quella di descrivere una condizione -fin troppo attuale- della donna che ancora oggi si ritrova a combattere per superare determinati pregiudizi, negazioni e accanimenti. Tracy Banghart, non descrive donne stereotipate e perfette, al contrario, sono delle figure con pregi e difetti, paure e fragilità, forza e dubbi. E proprio due tra queste, sono le protagoniste principali della storia: da un lato troviamo Nomi, un’indomita ragazza, sognatrice di un mondo libero pieno di libri, una ribelle nata che non smette di combattere nonostante le disavventure; dall’altro Serina, una giovane donna all’apparenza fragile, composta e mogia che non esita a lottare con le unghie e con i denti per il bene della sorella e per se stessa. Per quanto riguarda la fazione maschile invece, abbiamo i due fratelli reali Malachi e Asa, il primo gentile, accorto e rassicurante, e il secondo subdolo e malvagio; e Valentino, una guardia della prigione-isola con un animo sensibile e rivoluzionario. La cosa sorprendente di questo romanzo, oltre al modo in cui le donne trovano il coraggio negli attimi più bui, è il forte richiamo alla cultura, all’architettura e all’onomastica italiana ed europea.
In conclusione è un romanzo di forte impatto, un fantasy distopico che vale assolutamente la pena di leggere.
L'AUTRICE
Cresciuta nelle campagne del Maryland, tra scoiattoli volanti e campi di granoturco, Tracy Banghart ha conseguito un master in editoria presso la Oxford Brookes University, in Inghilterra. Ha una passione sfrenata per i cupcake e sin da piccola si è dedicata alla scrittura. A causa del lavoro del marito nell’esercito, si sposta continuamente insieme a tutta la famiglia, ma in estate riesce sempre a tornare nella magnifica isoletta di Temagami, in Canada.