La recensione del monologo teatrale "Sciaboletta", di Alessandro Blasioli

Recensione a cura di Mario Turco

In una Roma senza nessun pianificazione culturale da almeno due anni (metonimia in questo del governo del Paese), dove le rade iniziative meritorie vengono sempre sponsorizzate ex post e solo dopo aver sollevato tutte le attenzioni del caso, la scena del teatro off della Capitale è uno dei tanti specchi riflettenti di questa degradante asfissia. In una situazione come quella attuale, lasciata come sempre nelle mani di un mercato che avrebbe invece bisogno della guida dello Stato dato che ancor più che nell’economia il mondo culturale è sfalsato da barriere all’entrata, dumping e concorrenza sleale, tocca alle iniziative dei singoli cercare di fare arte in un senso che non sia esclusivamente appannaggio delle elites. Nel caso del Teatro Studio Uno che ha ospitato per tre giorni, il 16-17-18 Novembre lo spettacolo “Sciaboletta” questa deriva politica è manifesta in maniera allarmante. 

Il mancato appoggio a un’opera teatrale che ha già ricevuto il premio “Miglior Testo” al festival ShortLab di Roma, costretto a pubblicizzarsi solo attraverso i propri canali social e quelli del Teatro, indica l’assenza di volontà nell’investire in un giovane talento. Che Alessandro Blasioli, autore e unico attore dell’opera, fosse un ragazzo da tenere d’occhio lo si era capito sin dal successo ottenuto con il precedente monologo “Questa è casa mia”, personalissima rielaborazione del terremoto aquilano, sua terra d’origine. E se in quel caso l’impegno civile di Blasioli andava a solleticare nervi scoperti di una tragedia collettiva attirandosi plausi trasversali, l’opera successiva, questo “Sciaboletta” alza il tiro mostrando l’ambizione dei grandi. Non più una trattazione su una ferita recente ancora aperta ma su una cicatrice creduta chiusa da qualche decennio che ha nello specifico l’ardire di concentrarsi su un personaggio quasi dimenticato dalla storiografia ufficiale: il re Vittorio Emanuele III, detto appunto “Sciaboletta” (con genio tipicamente romanesco) per la sua bassa statura, a malapena 1,53 m, che avrebbe reso necessaria la forgiatura di una sciabola particolarmente corta, ad evitare che strisciasse sul terreno. 

Il lungo regno che lo vide monarca d’Italia per 46 anni fu segnato durante il suo crepuscolo dall’avvento e l’affermazione della dittatura mussoliniana: come dice lo storico De Felice, "senza il compromesso con la monarchia è molto improbabile che il fascismo sarebbe mai potuto arrivare veramente al potere". Alessandro Blasioli parte allora dall’episodio ignominiosamente famoso della fuga del monarca il 9 settembre del 1943 alle 04:30 del mattino, subito dopo l’Armistizio proclamato dal generale Badoglio dalle radio di tutta Italia, per cercare di rintracciare motivazioni personali e storiche di un connubio così fatale per l’Italia. Lo fa togliendo sacralità istituzionale alla figura dell’Imperatore d’Abissinia attraverso una performance che sfrutta tutti gli stilemi della Commedia dell’Arte che affonda le sue radici nella tradizione dei giullari e dei saltimbanchi medievali. 

Pur servendosi di materiali d’epoca (il reale annuncio di Badoglio dell’Armistizio, una cospicua documentazione storica) il re Vittorio Emanuele III viene interpretato come un personaggio da operetta buffa, con una mimica facciale esagerata e tic caricaturali (il suo cadere in stato catatonico quando c’è da prendere una decisione importante) che fanno leva anche sulle origini partenopee del monarca per gustosi siparietti. Siparietti però che vedono sempre e solo la presenza sulla scena di Blasioli che con molta energia e inventiva riesce a rendere divertenti i frequenti dialoghi a due. Oltre a una vis teatrale di indubbia efficacia, che può comunque ancora venire migliorata, quello che sorprende è la maturità del testo di “Sciaboletta”: lo studio sulle fonti storiche è mirabile, perfetto nella sua sintesi tra l’alto della documentazione e il basso del sunto popolare. Una presa di posizione di fronte a quegli eventi che non eccede mai in partigianeria e che permette anche di ridere amaramente di fronte a tragedie come il riposizionamento politico dopo l’8 Settembre o la ferocia del “Cinghialotto” Mussolini e del “Pervertito” Hitler. 

Sciaboletta” in appena 55 minuti segnala la presenza di un autore già pronto per palchi più importanti e dalla multietnica TorPignattara, sede del Teatro Studio Uno, dice più sull’Italia di ogni tempo che quanto possano fare i quartieri del centro e delle istituzioni.

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