La recensione de "Il berretto a sonagli", regia di Sebastiano Lo Monaco, al Teatro Quirino fino al 23 dicembre

Recensione a cura di Mario Turco

C’è un che di ammirevole nell’indefessa strategia del Teatro Quirino ad ospitare le opere teatrali di Luigi Pirandello. Andando oltre la scontata grandezza di uno degli scrittori italiani più importanti del Novecento, esse consentono infatti interessanti paralleli con un presente che filosoficamente non è stato per nulla divorato dalla velocità del secolo breve. Lo dimostra “Il berretto a sonagli” per la regia di Sebastiano Lo Monaco, in replica fino al 23 dicembre nel teatro romano che si trova a pochi passi dalla Fontana di Trevi. Un’opera questa che, sebbene partita con una tiepidissima accoglienza da parte del pubblico, nel corso degli anni ha saputo diventare un classico del palcoscenico, andando oltre la matrice regionalistica che l’aveva vista nascere. 

La commedia, che riprende le tematiche di due novelle “La verità (1912) e Certi obblighi (1912)” dello stesso Pirandello, fu scritta per l’attore Angelo Musco in dialetto siciliano. E nonostante la caratterizzazione comica del protagonista Ciampa che ne diede il celebre capocomico catanese, replicata anche dagli interpreti successivi, “Il berretto a sonagli” ha conservato intatto il nucleo di riflessione che lo scrittore agrigentino voleva risaltasse. In questa versione che vede anche la regia di Sebastiano Lo Monaco, interprete appunto dello scrivano al centro della storia, una vicenda che nelle mani di altri scrittori sarebbe scaduta in una pochade riesce a colpire per la modernità delle sue tesi. Pur non rinunciando al contesto originario, una tragedia di gelosia che vede protagonista una famiglia benestante della Sicilia dei primi del secolo scorso, l’opera riprende temi attuali come le costrizioni sociali di cui tutti siamo preda e contemporaneamente l’impossibilità cosmica di liberarci da esse. Prendendo a prestito l’iconografia delle famose marionette isolane, Ciampa espone uno dei più lucidi paradossi pirandelliani, un cul de sac filosofico che nonostante sia ammantato di comicità non lascia scampo all’uomo moderno: “Pupo io, pupo lei, pupi tutti. Dovrebbe bastare, santo Dio, esser nati pupi così per volontà divina. Nossignori! Ognuno poi si fa pupo per conto suo: quel pupo che può essere o che si crede d’essere. E allora cominciano le liti! Perché ogni pupo, signora mia, vuole portato il suo rispetto, non tanto per quello che dentro di sé si crede, quanto per la parte che deve rappresentar fuori. A quattr’occhi, non è contento nessuno della sua parte: ognuno, ponendosi davanti il proprio pupo, gli tirerebbe magari uno sputo in faccia. Ma dagli altri, no; dagli altri lo vuole rispettato”. 

Il registro de “Il berretto a sonagli”, come già detto, non diventa mai pedante a causa della sua primaria struttura di commedia di costume. Tutto il primo atto gioca strappando grasse risate sull’ambiguità, le allusioni e gli esplicativi non-detti dell’umile scrivano che vorrebbe dissuadere l’altera signora Beatrice Fiorica dal denunciare la tresca tra il cavaliere e sua moglie. Ancora una volta viene riproposto il tema della maschera che si è costretti ad indossare in società: Ciampa è costretto a fingere una morbosa gelosia per nascondere il fatto che sa di essere becco. Così nasce il grottesco pirandelliano che l’attore Sebastiano Lo Monaco, forte anche di un’esperienza pluriennale nel ruolo dello scrivano, interpreta con gusto sulla scena. Molto bella la scelta di caratterizzarlo attraverso un tono di voce pastoso, quasi alcolico, come se la malizia popolare di chi ha capito che la vita è un folle gioco rendesse impossibile la gravitas di solito atta a pronunciare rivelazioni metafisiche come questa: “Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d’orologio in testa. La seria, la civile, la pazza. Sopra tutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui sta qua, in mezzo alla fronte. Altrimenti ci mangeremmo tutti, signora mia, l’un l’altro, come tanti cani arrabbiati. -Non si può. - Io mi mangerei - per modo d’esempio -il signor Fifì. -Non si può. E che faccio allora? Do una giratina così alla corda civile e gli vado innanzi con era sorridente, la mano protesa: - «Oh quanto m’è grato vedervi, caro il mio signor Fifì!». Capisce, signora? Ma può venire il momento che le acque s’intorbidano. E allora… allora io cerco, prima, di girare qua la corda seria, per chiarire, rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni, dire quattro e quattr’otto, senza tante storie, quello che devo”. 

L’ultimo plauso a questa riuscita versione de “Il berretto a sonagli” lo riserviamo alla scenografia di Keiko Shiraishi che attraverso due set molto eleganti di stampo orientale contribuisce ad uno salutare straniamento che amplifica la portata universale dell’eredità pirandelliana.

Altri spettacoli:
martedì 18 dicembre ore 21
mercoledì 19 dicembre ore 19
giovedì 20 dicembre ore 17
venerdì 21 dicembre ore 21
sabato 22 dicembre ore 17
sabato 22 dicembre ore 21
domenica 23 dicembre ore 17

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