La recensione di “Io, Leonardo”, di Jesus Garces Lambert. Al cinema dal 2 ottobre

Recensione a cura di Mario Turco

Dopo le commedie all'italiana, gli spaghetti western, gli horror all'italiana anche il documentario d'arte ha preso una strada tipicamente nostrana. C'è perfino da premettere che la recente proliferazione di opere filmiche che indagano sulle vite degli artisti ha ancora intaccato solo la superficie del nostro pantheon d'eroi culturali e che, come capitato ai cinecomics negli ultimi anni, deviazioni significative potrebbero avvenire quando qualche produttore avrà il coraggio di portare in sala le storie delle retroguardie avanguardiste. Ma già oggi si può delineare una prima sommaria categorizzazione di questa tendenza che, nata come evento speciale, ha rivelato ben presto una periodicità che l'anno scorso si è fatta quasi trimestrale. “Io, Leonardo”, di Jesus Garces Lambert in uscita nelle sale italiane dal 2 Ottobre può essere un sintomatico case study di questo oramai vero e proprio genere. Il nuovo film d'arte Sky è un progetto originale della piattaforma televisiva curato insieme a Progetto Immagine e distribuito da Lucky Red in occasione dei 500 anni della morte di Leonardo da Vinci. I fattori che ne dettano l'importanza sono sostanzialmente tre: 1) gli importanti patrocini ancora una volta ottenuti, ovvero il Comitato Nazionale per le Celebrazioni, del Comitato Scientifico del Palinsesto Milano Leonardo 500, dei comuni di Firenze, Milano e Vinci; 2) l'essere giunto nel periodo di maturazione di produzioni di questo tipo; 3) l'importanza mondiale della figura del genio fiorentino, ancora oggi a quasi tutte le latitudini conosciuto come il più fiorente esempio di talento artistico.


Il primo fattore ha determinato ancora una volta l'enorme quantità di materiale d'archivio sul quale poter costruire il proprio racconto. Il regista però per differenziarsi dalle precedenti biografie e i numerosi studi scansa quasi del tutto le opere per focalizzarsi sulla mente dell'uomo Leonardo. “Io, Leonardo” sin dal titolo è infatti una narrazione giocata in prima persona attraverso i numerosi dialoghi presi dal “Trattato sulla pittura”. Il tentativo di creare un prodotto in tal senso innovativo è stato percorso con decisione inglobando i migliori tecnici del settore. L'affidamento della fotografia a Daniele Ciprì poteva quindi essere il definitivo allargamento di sguardo verso una dimensione autoriale che riuscisse a superare l'ineliminabile componente pedagogica del documentario d'arte. Spiace invece constatare come siano proprio la re-interpretazione della risaputa vicenda biografica e la narrazione divulgativa sulla creazione delle opere le parti che risentono negativamente di questo trattamento. Non aiuta in prima battuta l'interpretazione del volenteroso Luca Argentero che si smarrisce in una serie di tic che dovrebbero rendere empatica l'incredibile sete di sapere del poliedrico Leonardo e che invece non è mai credibile, a differenza dei comprimari, con indosso la parrucca e gli abiti del tempo riprodotti con curata filologia tessile dal costumista Maurizio Millenotti, in passato collaboratore di Franco Zeffirelli. Ma la tara principale di questa volontà di uscire dal canone è proprio il contrasto che si viene a creare tra le parti più esteticamente libere e i documenti d'archivio. C'è infatti un eccessivo sbilanciamento verso le prime. 


In fin dei conti in “Io, Leonardo” sono poche le opere mostrate e spiegate dalla calda voce narrante di Francesco Pannofino. Il film di Lambert si balocca sulla tridimensionalità delle incredibile armi da guerra progettate da Leonardo da Vinci per Ludovico Sforza (e chissà come sarebbe cambiata l'ingegneria militare se quelle fantasmatiche idee avessero trovata crudele attuazione sui campi di battaglia), sulla teatralizzazione de “L'ultima cena”, sulla visualizzazione in 3D degli appunti di lavoro, sulla creazione della progettata Camera degli specchi messa in atto per catturare la bellezza di Cecilia Gallerani nel dipinto “Dama con ermellino” e davvero poco altro. Per il resto vediamo continui giochi di luce con il sole che sfronda la telecamera, ribaltamenti prospettici, accenni fugaci al rapporto col padre che non poté mai riconoscerlo e pudici accenni (ah, l'autocensura di una grossa produzione!) all'amore che Leonardo provava per il giovane e sfrontato Salaì. Con “Io, Leonardo” il documentario d'arte è giunto al punto di doversi interrogare sulla direzione da seguire. L'equilibrio tra la reinvenzione cinematografica e la didascalia televisiva è sul punto di rompersi. Più volte da spettatori nel corso del film ci siamo trovati a desiderare contemporaneamente e schizofrenicamente la rottura dagli schemi del documentario e il rientro in essi. E quando i desideri del pubblico confliggono in questa maniera non siamo di fronti a fecondità d'autore ma siamo davanti ad una perniciosa idea produttiva che nel tentativo di assecondare entrambe le direzioni in realtà le sconfessa tutte e due.


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