Recensione a cura di Mario Turco
Allieva di Marco Baliani e fondatrice di una scuola, che è anche centro di produzione teatrale, “Shakespeare's Box”, la giovane artista ha un curriculum eterogeneo che fa dell'ibridazione tra i vari media la sua principale ragion d'essere. Si spiega anche così, per i petulanti che vogliono sempre capire tutto, la nascita di “Comunque”, il racconto surreale di Desirèe che per vivere e sopravvivere ad una delusione amorosa si trova a far la ladra con ovvi esiti disastrosi. L'amalgama di alcuni dei più famosi pezzi bergonzoniani compiuta con gioioso e ricercato non-sense riesce a stupire sia i lettori dei testi originali, sia chi vergine arrivava e gravido se ne andava grazie ad una concezione artistica per orecchie che si rifa spudoratamente alla matrice cattolica, sia la signora del piano di sopra del Teatro Studio Uno che avesse mai offerto un bicchiere di vino nonostante abbia origliato l'alcolica storia del teatro-off di Roma per anni. Il monologo di Giorgia Mazzucato approfitta della scarna messa in scena per sparare, fortunatamente non a salve, una ridda di battute quasi sempre geniali che feriscono a morte il senso del convenzionale e della struttura euclidea della realtà con cui di norma ci rapportiamo con un'opera artistica. Lo ha sempre fatto Bergonzoni, è vero, ma questo ri-attraversamento della sua opera genera una nuova contestualizzazione che non è mai passiva, ma potremmo dire passiva-aggressiva: attacca le forme testuali da cui trae spunto per nascondere ancora meglio il debito che nutre nei loro confronti.
Così “Comunque” non ha mai paura di deragliare, ad esempio, partendo da un singolo gioco linguistico e continuato fino all'eccesso, allo sfinimento, al paradosso dell'osso narrativo che viene continuamente rimasticato e sputato via, spolpato dalla sua carne (leggi fabula) ed ormai oggetto solo di svago. La natura acefala del testo (ci vengono così, senza sforzo!) genera ovviamente segmenti di corpo scenico più o meno divertenti. L'elenco finale dei dieci comandamenti da rispettare in un'opera è la perfetta chiusa con l'invito ad essere “colmi di bellezza” che lascia senza fiato, anche perché nel nostro caso in un metro e settanta scarsi di bellezza ne entra pochina e s'accumula proprio sui polmoni.