Recensione a cura di Mario Turco
Generazionale innanzitutto: Mozart impone la propria giovinezza e l'idea ad essa collegata di liberazione dalle gabbie melodiche dell'opera italiana dei padri. O meglio, cerca di imporre, perché come si sa ai grandi è destinata la sconfitta in vita e la vittoria sui secoli a venire. Artistica, naturalmente: in una scena dell'opera Mozart impara la marcetta con cui Salieri lo accoglie a corte avendola ascoltata distrattamente appena una volta e replicandola al piano con un tempo più sardonicamente veloce, a dimostrazione della pedanteria dello schema seguito dal musicologo dell'imperatore Giuseppe II. Ma la sconfitta è soprattutto addebitata da Salieri stesso al capriccio di Dio che elegge i suoi pochi favoriti mantenendo gli altri nella medietà più ipocrita. Il potente anatema lanciato contro la divinità a causa dell'esclusione da questa eccellenza di natura riesce ancor più dolorosa perché "Amadeus" porta in scena per tutta la sua durata un Mozart dionisiaco, basculante tra lascivia ed un infantilismo mai superato. L'interpretazione del compositore austriaco da parte di Lorenzo Gleijeses accentua questi caratteri attraverso una mimica rock che ricorre anche a contemporanei gesti triviali ed una sessualità sottilmente sempre presente (un paio di sapidi amplessi con la futura moglie Costanze Weber interpretata da Roberta Lucca e gli accenni all'infedeltà perpetuata con le allieve).
E così la narrazione in prima persona di Salieri, che ha il solo difetto di indulgere un po' troppo nelle sottolineature didascaliche, anche nel rifiuto di nascondere le proprie debolezze (il ricatto sessuale), diventa metafora universale della lotta del genio contro la sua epoca e i suoi coevi. Il monumentale apparato scenografico di Roberto Crea rende quindi ancor più evidente la piccolezza della lotta del musicista italiano che solo in punta di morte capirà quanto vana sia stata la sua cosmica e comica ribellione. Dal punto di vista tecnico l'"Amadeus" di Andrei Konchalovsky s'avvale, oltre che dalla già succitata scenografia, di un cast di prim'ordine: dai costumi di Luigi Perego, belli senza voler strafare, al preziosissimo lavoro sulla luce compiuto da Luigi Ascione, la pièce riesce con naturalezza a mantenere dialoganti il Settecento dell'ambientazione e il Duemila del messaggio lanciato. Notevole ad esempio la scena della morte di Mozart che prima di spirare vede il gigantesco fantasma del padre Leopold sovrastarlo per poi svanire fulmineo. Quel padre reale che mai compare nell'opera, sostituito dalla nefasta figura paterna di Salieri invidioso del talento di quello che avrebbe dovuto essere un figlio artistico da cullare. La trascrizione del Requiem dettato da un Mozart moribondo ad un Salieri finalmente conscio di quello che avrebbe dovuto essere il suo compito è l'amara chiusa che non rende meno correo l'eterno ritorno della mediocrità di cui siamo ora e sempre testimoni noi tutti.