Recensione a cura di Mario Turco
Ecco allora che per non farsi invischiare in questa lotta da parenti serpenti “7 donne e un mistero”, Alessandro Genovesi opta per un sagace collocamento commerciale che si situa a metà strada tra esigenze d'incasso e mordente rilettura di un genere popolare come il giallo inglese con omicidio annesso. L'idea del film è geniale nella sua semplicità: fare il remake, in questo lustro di empowerment femminile, della commedia francese del 2002 “8 donne e un mistero”, di François Ozon ed apparecchiarlo per il pubblico italico togliendo all'originale la problematica parte musical (ogni personaggio si presentava cantando una canzone) e la riflessione metacinematografica ed allo stesso tempo rinforzando la natura ludica del progetto basandosi quasi esclusivamente sulla componente mistery. Genovesi e la sua sceneggiatrice Lisa Nur Sultan s'affidano per tutta la breve durata del film (soltanto 82 minuti) all'impianto teatrale che caratterizzava già l'opera di Ozon modificando naturalmente l'ambientazione ed alcune caratteristiche non decisive dell'intreccio. In “7 donne e un mistero” siamo infatti nell'Italia degli anni Trenta, in una villa aristocratica sepolta dalla neve.
Susanna (Diana Del Bufalo, l'unica del cast a sembrare spaesata) torna a casa per rivedere l'amato padre Marcello e la famiglia. Ma i rapporti poco sereni con la madre (Margherita Buy, in un ruolo il grado di esaltare sia la sua cifra comica che quella drammatica) e la sorella (Benedetta Porcaroli, perfetta anche se monocorde nella sua interpretazione dell'adolescente ribelle) rivelano che dietro l'opulenza della magione si nascondono intrighi familiari irrisolti. Quando proprio il capofamiglia viene trovato morto all'interno della sua stanza, il gineceo formato, oltre che dalle tre donne, dalla procace cameriera (Luisa Ranieri non regge il confronto con, a quei tempi, la divina Emmanuelle Béart), la sorella (Sabrina Impacciatore, relegata ai margini salvo che in un paio di sequenze da “brutto anatroccolo” abbastanza scontate), la nonna (Ornella Vanoni, che a 87 anni recita naturalmente un film tutto suo con battute fulminanti sulla sua dipendenza alcolica e altre palesemente fuori ritmo) e l'amante (il mistero buffo per eccellenza delle nostre attrici Micaela Ramazzotti) si troverà coinvolto in un gioco al massacro verbale e alla fine perfino fisico per cercare di scoprire l'assassina tra di loro. “7 donne e un mistero” è quindi un gioco cinefilo che non si distacca mai dalla gloriosa tradizione della commedia gialla e che non si prende mai sul serio enfatizzando attraverso la saturazione visiva il suo dichiarato carattere di pochade. Ognuna delle 7 donne viene caratterizzata attraverso il colore dell'abito, dal viola malvagio di Ramazzotti al nero funebre di Vanoni, e attraverso la stereotipizzazione del carattere. Come in un Cluedo da tavolo – quello cinematografico del 1985 aveva un livello di consapevolezza transmediale molto più maturo del film di Genovesi – alle protagoniste non interessa mai svelare il colpevole quanto abbandonarsi alla fase puramente indiziaria del delitto. Ecco allora che i frequenti colpi di scena, inganni e svelamenti (accompagnati da un uso troppo didascalico della musica) sono sempre chiusi in sé stessi e mai finalizzati alla suspense vera e propria. Il film è allora come un carillon adornato di vezzosità – bisogna davvero lodare la performance delle sette attrici? -, un ammennicolo a tema natalizio buono per la credenza del salotto (leggi cinema delle festività) ma che dal 7 Gennaio torna giustamente e mestamente a fare polvere in qualche cartone, in attesa di non essere mai più riutilizzato.