La recensione del film "L'audizione", di Ina Weisse nelle sale dal 5 Maggio

Recensione a cura di Mario Turco

Una delle sfide cinematografiche più interessanti è dirigere l’occhio della macchina da presa verso un protagonista, si perdoni il francesismo, particolarmente stronzo. Tornando alla terminologia più propriamente manualistica, non un villain– come il Joker di Todd Philips, ad esempio – né un loser – come uno dei tanti assoli filmici dei comici statunitensi – ma un personaggio sgradevole che ha pochissimi punti di contatto con lo spettatore. La difficoltà principale sta proprio in questa mancata corrispondenza emozionale su due fronti che non deve diventare triangolazione perché se anche l’autore enfatizza il proprio distacco dalla storia narrata il rischio è che a fine lungometraggio ci si chieda il senso di un’operazione così cerebrale. 


“L’audizione”, di Ina Weisse in uscita in Italia il 5 maggio 2022 distribuito da Pier Francesco Aiello per PFA Films ed Emme Cinematografic, sembra pendere pericolosamente per gran parte della sua durata verso questa sorta d’apatia diegetica, salvo riscattarsi nel finale grazie ad una bella scelta di sceneggiatura che ha il merito di gettare un’interessante luce retroattiva di introspezione. L’opera seconda della regista tedesca trova una distribuzione italiana ben due anni dopo il suo debutto avvenuto in anteprima nazionale al Bif&st 2020 e, dopo essere stato già presentato al 44° Toronto International Film Festival, approda nelle sale confidando in una riscoperta da parte del pubblico d’essai che potrebbe (e dovrebbe, ci sbilanciamo noi) garantirgli una seconda vita. Anna Bronsky (la meravigliosa Nina Hoss) è un’algida insegnante di violino in un prestigioso liceo musicale di Berlino. Durante gli esami di ammissione annuali della scuola la donna viene rapita dal talento grezzo dell’altrettanto glaciale Alexander Paraskevas (Ilja Monti) e lo fa ammettere al conservatorio contro il volere dei colleghi ai quali invece sembra troppo acerbo. Anna è affascinata dall’allievo, dal suo impegno e dal suo potenziale in una maniera via via crescente, tanto da metterlo consapevolmente in competizione col figlio di 10 anni, Jonas (Serafin Mishiev), che frequenta la stessa scuola e non è invece particolarmente predisposto a sottostare alla rigida autorità materna in ambito musicale. 


Co-sceneggiato dalla stessa regista insieme a Daphne Charizani, “L’audizione” fa della sua ambientazione il perno attorno a cui muovere possibili motivazioni sociali ed altrettanto plausibili tracce psicologiche per la condotta di una donna complessata e particolarmente a disagio nonostante l’agiatezza economica e il buon marito, il liutaio francese Philippe Bronsky (l’affascinante Simon Abkarian). Come dice Ina Weisse: "Il mondo della musica, in questo senso, che è molto orientato alla competizione per raggiungere l’eccellenza, era lo sfondo ideale per raccontare questa storia, per descrivere questo personaggio”. In effetto il lungometraggio narra sfruttando tutti i topoi del cinema europeo “impegnato” – asfissianti scene in interni laccati e distinti, atarassia dei suoi protagonisti, palette cromatica asciugata su pochi colori dominanti – un preciso spaccato di vita di una donna che non vive le magistrali note di Bach e dell’illustre consesso di cui fa parte né come missione né come passione ma più semplicemente come dovere di classe. In questo senso l’insistenza dello sguardo della MdP sull’ansia di Anna che le impedisce di suonare nei concerti è fatta risalire dalla regista all’altrettanto maniacale educazione paterna che le ha fatto ereditare suo malgrado, come spesso capita in queste famiglie ultra-rigide, quest’alienante vena pedagogica. Se Anna fallisce come musicista – l’esibizione al teatro dove si fa scappare l’archetto per la tensione – fa altrettanto come moglie considerando la relazione fedifraga col collega insegnante, portata avanti anche questa più come “usanza” alto-borghese che come reale scappatoia da un matrimonio tutto sommato non particolarmente problematico. Conscia di questa sua colpa (il merito del film è non di dichiararlo esplicitamente ma lasciare che filtri dai significativi non-detti), ecco allora che a ridosso del saggio di fine anno del suo allievo Anna si fa consumare dalla tensione inasprendo fisicamente i suoi esercizi ed umiliando il laconico Alexander. “L’audizione”, come anticipato all’inizio, ha però un colpo di coda finale che solleva un ulteriore velo di ambiguità sulla sua protagonista e ci lascia con una domanda lancinante: e se anche l’affermazione del suo discepolo in realtà per l’insegnante è un modo surrettizio di affermare il proprio ego?

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