La recensione de "Dario Fo: l'ultimo Mistero Buffo", di Gianluca Rame presentato alla sezione Freestyle della Festa del Cinema di Roma
Recensione a cura di Mario Turco
Come se dovesse/volesse ancora rispondere a questi bigotti attacchi il documentario “Dario Fo: l'ultimo Mistero Buffo”, diretto da Gianluca Rame, - nipote dell’attore lombardo - e presentato nella sezione Freestyle della 17a edizione della Festa del Cinema di Roma, prova a spazzare via le critiche su questa presunta sopravvalutazione agendo principalmente su due direttrici: il repertorio e il racconto presente di alcuni felici casi di adattamenti dei capolavori della premiata ditta Fo/Rame. Su questo punto, l’intento del regista appare evidente sin da subito: pur dovendo ometterla nella titolazione per ovvie esigenze di commercializzazione, il regista da per assodato che l’importanza di Rame in questa produzione teatrale non è discernibile da quella del più famoso marito. Raccontato dall’attore Matthias Martelli, che ha portato sui palcoscenici europei proprio “Mistero Buffo” e sembra anche fisicamente l’erede di Fo, il documentario durante la sua ora e mezza di durata non nasconde mai la sua natura apologetica provando a rintracciare le coordinate del contesto socio/politico in cui sono maturati i capolavori più famosi e potendo contare sulle clip di Luce Cinecittà e Rai Documentari, sul prezioso archivio e collaborazione della Compagnia Teatrale Fo Rame e il patrocinio della Fondazione Fo Rame. Dalla censura di Canzonissima ed il conseguente ripudio della tv fino alla militanza post-sessantottina, dai collettivi teatrali fino all’assistenza legale alle BR di “Soccorso rosso”, dalle rappresentazioni teatrali all’interno delle fabbriche (che belli i commenti degli operai e l’interazione viva con essi, così distanti dai palchi borghesi del presente) fino a quella formidabile sfida al potere costituito che è “Morte accidentale di un anarchico”, “Dario Fo: l'ultimo Mistero Buffo” tocca tutti le parti più importanti ed iconiche di una carriera formidabile.
In questo senso forse a mancare sono i raffronti con l’entusiastica tarda collaborazione col Movimento 5 stelle di Grillo e Casaleggio che avrebbero potuto fornire ulteriori esempi dell’instancabile attività critica dell’attore. Per quanto riguarda invece il patrimonio eminentemente letterario della produzione di Fo/Rame, il regista volge il suo occhio all’estero citando due diversi casi di riscrittura, entrambe molto interessanti per analogie e differenze. Ecco allora che la MdP segue a Istanbul la produzione in lingua curda di “Clacson Trombette e Pernacchi” (1981), censurata dalle autorità turche per propaganda terroristica, mentre a Buenos Aires la telecamera narra la messa in scena di “Muerte Accidental de un Ricotero”, adattamento dell’omonima pièce, per protestare contro la morte di Walter Bulacio, assassinato dalla polizia nel 1991 all’età di diciassette anni con il corollario di depistaggi forniti dalle locali forze dell’ordine, sinistramente simili a quelle perpetrate dai nostri servizi per il “suicidato” Giuseppe Pinelli. Un po’ più spazio ed approfondimento avrebbero meritato invece le interviste agli intellettuali nostrani, da Dacia Maraini a Stefano Benni, da Moni Ovadia a Gianni Minà, che non riescono a diventare contestuali e rimangono dichiarazioni estemporanee. Interessanti e molto delicate, infine, le sequenze che vedono invece Dario Fo alle prese con le tele della sua espressiva produzione pittorica, che gettano luce su un aspetto poco conosciuto della sua rinascimentale arte.