La recensione di "Thunderbolts*", di Jake Schreier in uscita nelle sale italiane dal 30 aprile distribuito da Walt Disney Studios Motion Pictures
Recensione a cura di Mario Turco
"Thunderbolts*", di Jake Schreier in uscita nelle sale italiane dal 30 aprile grazie alla distribuzione di Walt Disney Studios Motion Pictures è in apparenza il prototipo perfetto della vittima sacrificale di questa nefasta tendenza. L'idea di dedicare un lungometraggio intero ad eroi e supereroi minori dell'universo cinematografico Marvel introducendo allo stesso tempo uno dei personaggi più potenti della Casa delle Idee, capace di spostare gli equilibri narrativi con la sua sola esistenza, sembra difatti una mossa utile soltanto ad attirarsi gli strali dei fan. Ultimo film della Fase Cinque, Thunderbolts* dopo varie traversie produttive sembrava destinato ad essere soltanto un prodotto collaterale prima dell'avvento dei più icastici Fantastici 4, X-men e Doctor Doom. Ed invece, proprio come nelle run fumettistiche meno importanti, il film di Jake Schreier si prende la (relativa) libertà di non dover rispettare troppo la rigorosa continuity delle ultime uscite per essere un prodotto d'evasione divertente e tiepidamente originale. Nulla di trascendentale ma il risultato è sicuramente molto più alto di alcune serie tv Marvel particolarmente incensate, da Loki a Daredevil - Rinascita. Thunderbolts* comincia mostrando la crisi di Yelena Belova (la sempre magnetica Florence Pugh), caduta in una spirale depressiva dopo la morte della sorella da cui cerca di uscire dedicandosi con sempre minor convinzione al lavoro di mercenaria sotto l'ambigua guida della Contessa Valentina Allegra de Fontaine (Julia Louis-Dreyfus). Dopo un colloquio con il padre, Red Guardian (David Harbour), la giovane donna accetta un'ultima missione prima di dedicarsi a non meglio specificate "pubbliche relazioni". Ma quando si reca in una base sperduta nel deserto inseguendo Ghost (Hannah John-Kamen), si accorge di essere caduta in trappola insieme ad altri loschi figuri come U.S.Agent (Wyatt Russell), Taskmaster e il confuso Bob (Lewis Pullmann). Sarà proprio la conoscenza di quest'ultimo, un uomo che si è risvegliato senza coscienza di sé dopo strani esperimenti ma con un potenziale energetico pari a quello di un dio, a rendere fin troppo reale la più grave minaccia che questo scombiccherato team e il pianeta intero dovranno affrontare...
Thunderbolts* racconta il percorso di redenzione compiuto dai suoi antieroi. Più che una Suicide Squad mandata ad immolarsi, questa squadra Marvel è composta infatti da persone alla ricerca del proprio posto nel mondo. Quasi del tutto privi di poteri appariscenti, tutti e cinque i membri vivono il trauma del loro passato violento con dolore e la certezza di non poterlo emendare. Molto attento e credibile in questa introspezione psicologica, il 36esimo film Marvel sfrutta bene questa nota di genere rinunciando al catastrofismo supereroistico, tanto da avere appena un paio di scene d’azione spaccamascella e concedersi addirittura il lusso di ambientare la resa dei conti finale all’interno della mente di Sentry/Void. In un film che lambisce con efficacia quindi i territori del thriller mentale lo scotto da pagare è purtroppo la solita ironia che con cadenza regolare viene inserita per smorzare le scene più tensive. Per il resto, la scelta di Thunderbolts* di fare di questi assassini e mercenari i nuovi Avengers la dice lunga sulla difficoltà della Marvel di riuscire a trovare personaggi carismatici per traghettarla nuovamente nell’epoca d’oro degli incassi stratosferici di qualche anno fa. Anche i dirigenti dello studio sono sferzati da folate di rimpianto ma nel loro caso è nostalgia capitalista.