La recensione di "Come gocce d'acqua", di Stefano Chiantini nelle sale dal 5 giugno grazie a Bim Distribuzione
Recensione a cura di Mario Turco
Presentato alla XIX Festa del Cinema di Roma con il titolo Supereroi ma finalmente cambiato con questo molto meno retorico, il lungometraggio dello sceneggiatore e regista abruzzese racconta di Jenny (la giovane e talentuosissima Sara Silvestro), una promessa del nuoto affabile e felice della sua vita tra piscina, amiche e fidanzato. Suo padre Alvaro (Edoardo Pesce in un ruolo che gli calza a pennello), separato dalla moglie ma legato alla ragazza da un rapporto, apparentemente non ricambiato, di amore va ad assistere alla gara che la consacra campionessa. Pur con la spesso aperta ostilità di Jenny, i due passano comunque la notte insieme nel camion di lui tra vecchie foto e qualche momento di spensieratezza (la bella scena del canto su un pezzo di Emma). Al mattino le tensioni, dovute al passato divorzio di Alvaro e all'abbandono della casa coniugale, sembrano stemperarsi tanto che padre e figlia si sfidano in una gara di nuoto al mare. Ma dopo lo sforzo l'uomo sviene, colpito da un aneurisma che gli causerà una semi-paralisi costringendolo all'assistenza domestica. La ragazza, allora, riscopre l'amore verso il padre tanto da decidere di abbandonare le competizioni di nuoto e andare ad assistere il burbero padre nella casa vicino al mare...
Come gocce d'acqua è un film volutamente piccolo e intimo che mette in scena una vita di provincia - Roma viene evocata come metropoli in cui realizzarsi sportivamente ma non compare mai -, ripresa nei suoi spazi anonimi e impersonali (il ristretto ambiente domestico, la piscina da competizione e quella per la riabilitazione, il discount dove lavora la madre, lo spicchio di spiaggia poco frequentato). Consapevolmente a metà strada tra il lato drammatico della convivenza con la sopravvenuta disabilità di Alvaro e la vestale espiazione di Jenny che diventa la badante del genitore, Chiantini non stacca mai la sua MdP dai suoi personaggi. E anche se in alcuni passaggi le musiche di Piernicola Di Muro smentiscono con la loro grave retoricità l’andamento altrimenti discreto della scrittura e della regia, il film non giudica mai i suoi protagonisti concedendo loro di riaggiustare una rotta morale ubertosa e umbratile. Così il colpo di scena sulla paternità di Alvaro che in altre mani sarebbe sicuramente risultato un espediente manualistico qui arriva invece con delicatezza ad aggiungere complicazione nell’anima semplice e buona di Jenny. Come gocce d’acqua è un lungometraggio che indaga allora la forza di un legame familiare che proprio nel momento di maggior difficoltà esce in superficie con insospettato vigore, come fa la protagonista ad ogni bracciata sia quando gareggia che quando si tuffa in piscina per schiarirsi i pensieri. Fiero di essere un prodotto medio ma profondamente sincero, l’opera di Chiantini merita sicuramente la visione perché permette allo spettatore medio di tornare ad immedesimarsi in queste esistenze fragili eppure, nonostante le avversità, ancora tenacemente buone. E il finale aperto, con quella passeggiata chiaroscurale dopo il tentativo da parte di Alvaro di lasciarsi inghiottire dalle onde rammenta che in realtà quel movimento delle acque, anche mitologicamente, ha più spesso portato la vita che tolta.