La recensione di "Testa o croce", di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis nelle sale dal 2 ottobre grazie a 01 Distribution
Recensione a cura di Mario Turco
Presentato in anteprima al Festival di Cannes 2025 nella sezione Un Certain Regard il 22 maggio e distribuito nelle sale da 01 Distribution il 2 Ottobre, “Testa o croce” di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis è un western che si serve dei luoghi e dei suoi canoni per portare avanti il discorso teorico cominciato con il precedente (e fortunato) “Re Granchio”. I due registi infatti sovvertono quello che è stato, a ragione, definito il vero genere introdotto dal cinema per raccontare una storia di emancipazione al femminile che occhieggia da un lato alla malinconia ammaccata di Robert Altman e dall'altro, ovviamente, alla rilettura bassa e demistificante che ne ha fatto il cinema italiano nei decenni 60/70. La struttura picaresca dell'impresa dei due protagonisti - che è in primis allontanamento da sé stessi, come dimostrano i due precisi archi narrativi a cui vanno incontro entrambi - permette al film di nutrire e rinverdire piccole epiche (la raccolta delle rane dalle simil-mondine, l'incontro prima e lo scontro poi con l'ideologia rivoluzionaria/stracciona, il racconto in divenire del narratore) piuttosto che affrontare la grande epica a cui solitamente il western è soggetto. In questo coacervo fin troppo controllato e in cui anche l'onirismo della parte finale sceglie di non esondare nella pura visionarietà, Zoppis e Rigo de Righi si mostrano però insospettabilmente troppo riguardosi nei confronti della tradizione da cui prendono spunto, tanto da omaggiarla platealmente in alcune scelte che avrebbero invece magari meritato di essere messe in crisi. Il girovagare spezzettato nel territorio sabaudo, visto e ripreso dai due registi splendidamente nei suoi scorci più selvaggi, con la sua sequela di scene sempre importanti ai fini narrativi toglie spontaneità al percorso di Rosa, quasi “condannata”a prendere coscienza della sua condizione fuorilegge di donna libera anche quando forse non avrebbe voluto.
Testa o croce difatti è un gioco truccato o, quantomeno calcolabile da un algoritmo numerico, in cui non c’è quasi mai l’impressione spettatoriale di potersi lasciar guidare dal capriccio fatale di un singolo lancio di moneta: il film sa sempre dove andare e anche le deviazioni di Santino e Rosa sono state previste prima di mettersi in cammino. Interessante, per contrasto, la caccia di Buffalo Bill che si mostra meno gaglioffo di quello che appare all’inizio e ha, lui sì, la straordinaria capacità di farsi guidare nella sua ricerca da un corvo o dai segnali all’apparenza più fortuiti (un rametto spezzato) che il territorio gli manda. In fondo è proprio lui a mantenere, nonostante e in virtù delle proprie contraddizioni, lucidamente magica la sua visione: “Un vero cowboy ha il cuore di un uomo e l'innocenza di un ragazzo”.