
Autore: Marco Buticchi
Editore: Longanesi
Pagine: 444
Anno di pubblicazione: 2017
Prezzo copertina: 18,60 €
Recensione a cura di Eleonora Cocola
Trieste, XIX secolo. L’Arciduca Massimiliano d’Asburgo è in procinto di partire per il Sud America. Ha deciso infatti di rinunciare al trono austriaco per farsi nominare imperatore del Messico. Una mossa azzardata, tanto più che a spingerlo -e ad incoronarlo- è Napoleone III (a quei tempi tra Francia e Austria non correva certo buon sangue). Sarà che Massimiliano era un tipo un po’ particolare per l’epoca: curioso, intelligente, amante delle arti e delle scienze, molto portato per le lingue straniere, viaggiatore infaticabile, molto sensibile alle idee progressiste. Vedeva nel Messico
una terra fertile dove far germogliare le sue idee liberali, dove fare il sovrano illuminato. Oppure c’erano di mezzo degli interessi legati all’acquisto di due diamanti, uno di colore bluastro e il secondo giallo paglierino, ancora oggi giudicati tra i più grandi e preziosi mai estratti nel nostro emisfero. Peccato che in Messico la situazione, tra repubblicani e conservatori, fosse tutt’altro che tranquilla, e i suoi propositi di governo liberale degenerarono in lotte sanguinose e repressioni forzate.
Duecento anni più tardi, vicino a Tijuana approdano per caso l’archeologa Sara Terracinie suo marito Oswald Breil, che «poco più di un nano, aveva combattuto ogni genere di minaccia come capo del Mossad, e come esponente politico ai massimi livelli, ricoprendo dapprima l’incarico di vice ministro alla Difesa, e, in seguito, quello di primo ministro della Repubblica di Israele». Fanno a malapena in tempo a mettere piede a terra che un viavai di macchine della polizia a sirene spiegate annuncia la morte di Tomaso Moreno, un ex giudice del pool antinarcos messicano, il quale stava tentando di mettersi in contatto proprio coi due protagonisti: Sara e Oswald sono incappati nel mezzo di una guerra tra cartelli della droga per la supremazia sul territorio. La faccenda, manco a dirlo, affonda le sue radici proprio nel Messico del XIX secolo, quello di Massimiliano insomma, e il fil rouge è un diamante giallo da 33 carati dal nome Maximilian II.
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Massimiliano I del Messico |
Peccato che sembri un po’ (un po’ tanto) di sbrogliare una matassa molto intricata, e le introduzioni di cui sopra aiutano fino a un certo punto. La narrazione a volte è troppo contorta, la scrittura non scorrevolissima, e questo appesantisce la lettura, le rende meno piacevole. Forse qualche taglio che lo rendesse più “asciutto” avrebbe fatto bene a questo romanzo. Comunque chi predilige il genere avventuroso apprezzerà sicuramente quest’ultima prova letteraria di Marco Buticchi, che non per nulla Longanesi annovera nella collana “I maestri dell’avventura” accanto ad autori del calibro di Wilbur Smith.
Il consiglio è di leggere La luce dell’impero quando si ha un po’ di tempo da dedicarvi (magari approfittando delle feste) e di metterlo sotto l’albero degli amici lettori amanti del romanzo d’avventura.
L'AUTORE
Marco Buticchi, il maestro italiano dell’avventura, è nato alla Spezia e ha viaggiato moltissimo per lavoro, nutrendo così anche la sua curiosità, il suo gusto per l’avventura e la sua attenzione per la storia e il particolare fascino dei tanti luoghi che ha visitato. È il primo autore italiano pubblicato da Longanesi nella collana «I maestri dell’avventura » (accanto a Wilbur Smith, Clive Cussler e Patrick O’Brian).
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