Concorso letterario "Racconti di Natale": "Mary Christmas", di Debora Porfiri

"MARY CHRISTMAS" di Debora Porfiri

Già le mancava il fiato. Stretta nella morsa del traffico pre-natalizio, bloccata su un bus qualsiasi con gente altrettanto qualsiasi, Mary tirò fuori dalla sua borsa straripante di scartoffie il suo cellulare redentore. Una foto di famiglia sulla schermata home la rassicurò sul suo posto nel mondo, come se essere su quel bus fosse solo un incidente di percorso, un esito maldestro di un gioco di permutazioni infinite. Mary lanciò ancora uno sfuggevole sguardo intorno a sé: gente stanca con borse sotto gli occhi e sotto le braccia, sacchi pieni di doni da nascondere chissà dove in appartamenti già troppo stipati. Tanti Babbi Natale indaffarati nelle ultime compere improvvisamente costretti all’immobilità sul suo stesso bus, paralizzati da un corteo natalizio di figure danzanti e luci stroboscopiche. Non era proprio un bello spettacolo, tutte quelle persone che cominciavano a sudare sotto gli strati colorati di lana e polistirene. Ne era certa, fra qualche minuto sarebbero iniziate esalazioni poco gradevoli dal vicino con lo sciarpone sintetico che di sicuro gli pizzicava il mento ed era la causa di quelle chiazze rossastre sul collo. Dalla sua destra le giunse un anelito che più che di amore sapeva di ore ed ore in assenza di dentifricio. Un odore di silenzio e solitudine. Non volle girarsi per associare un volto a quella sensazione pungente di tristezza. Mantenne però la speranza che chiunque fosse stesse girato dall’altra parte, sempre che il finestrino del bus non facesse rimbalzare verso di lei quell’alito così inopportuno.

I suoi occhi decisero di abbassarsi verso lo schermo del cellulare, nella speranza che anche il suo naso seguisse, allontanandosi dall’ambiente circostante. Se solo l’olfatto potesse essere ingannato guardando video colmi di fiori e ammorbidenti coccolini su Youtube… Per un attimo riuscì ad estrarsi dal momento che viveva grazie a infiniti scroll down, like e emoticon. Ciò che intravvedeva sul proprio schermo le permetteva a stento di non intercettare le chiamate della donna con la finta pelliccia color chipmuncks. Mary cercava in tutti i modi di non venire a sapere che l’appuntamento per la ceretta andava posticipato e che bastava accendere il forno per scaldare le lasagne. Poi una voce venne a coprire le parole ‘…e guarda se c’è ancora carta igienica’. Era inevitabile, lo sapeva, come da copione era sorta una voce che sovrastava tutti gli altri mugugni semi-privati. Era una voce femminile, una voce che voleva ergersi al di sopra di tutte le altre, perché aveva delle cose intelligenti da dire a nome di tutti. Così era stato deciso. Era la voce che voleva dar voce anche a chi non aveva niente da dire, o perlomeno si avvaleva di quella capacità, accaparrandosi così le astenzioni per trasformarle in voti a proprio favore. Era la voce delle lamentele in pubblico - quelle che suonano tutte uguali - leggeremente troppo acuta, come per penetrare meglio l’aria, indipendentemente dalla protesta veicolata. Sempre su di giri, indignata, esasperata dal sistema. Anche quella volta la voce aveva il tipico riverbero metallico che la infastidiva, perdipù in quell’occasione veniva sottolineata dai sonagli deiJingle Bells della parata natalizia.Tutto sommato in ritmo e in totale armonia, neanche l’avessero provato in un seminterrato il giorno prima.

Anche Mary cominciava a traspirare, nonostante avesse avuto l’accortezza di togliersi il mantello subito dopo l’annuncio dell’autista. Qualche minuto, aveva detto, mentre a lei pareva un’eternità, una condanna dal retrogusto dantesco. Decise allora di rituffarsi sul telefonino, in cerca di un po’ di refrigerio, ma le luci intermittenti della sfilata la colpivano dal suo proprio schermo impedendole di leggere gli ultimi gossip e le fake news che l’indomani sarebbero state smentite da un giornalista col cappello di Babbo Natale.

‘No!’, pensò Mary senza più alcuna remora, ‘ci mancava sololozampognaro mendicante!’ Dalla coda del bus spuntò un finto invalido che masticava tre note e due parole. ‘Tutto mi è indirizzato, tutto mi urta, anche la tua povertà mi urta. Sono un bersaglio di superficie infinita’. Questi pensieri scorrevano nelle sue vene, mentre Mary guardava passivamente la sfilata di gnomi e folletti che sembrava non finire mai, là fuori. E non riusciva a capire se quella che sembrava neve facesse parte della messa in scena o se invece fosse il cinico contributo di Madre Natura a quello spettacolo di fine pomeriggio di un 24 dicembre qualsiasi.

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