La recensione del film “Chapter 27”, di Jarrett Schaefer

Recensione a cura di Mario Turco

Dal punto di vista produttivo pochi generi sono sicuri come quelli incentrati sugli assassini. Il racconto dell'omicidio di un essere umano da parte di un suo simile può allo stesso tempo accontentare le corde sadiche di gran parte della popolazione, farsi latore di istanze etiche insopprimibili, cucire le ferite di una famiglia, di una generazione e di un intero secolo. “Chapter 27”, di Jarrett Schaefer andato recentemente in onda sulla piattaforma MyMovies nell'ambito dell'iniziativa #iorestoacasa ed ancora disponibile sugli store digitali aveva sulla carta le potenzialità per soddisfare i tre requisiti succitati. Ma il film del 2007 che racconta uno dei fatti di Storia più famosi del Novecento, e cioè la morte di John Lennon davanti all'entrata della sua residenza, il Dakota Building, per mano di Mark David Chapman la sera dell'8 dicembre 1980 a New York, delude perfino le attese più basiche avvitandosi in un irrisolto racconto in prima persona da parte del lettore più disturbato de “Il giovane Holden”. Schaffer, che dopo questo importante esordio è sparito dai radar cinematografici dell'intero pianeta (IMDB segnala solo la scrittura nel 2012 di una puntata di una serie TV!), qui autore anche della sceneggiatura basata sul libro Let Me Take You Down: Inside the Mind of Mark David Chapman del giornalista Jack Jones, sceglie di puntare la MdP quasi esclusivamente sul volto imbolsito di un irriconoscibile Jared Leto. Ingrassato di 30 chili per la parte, l'attore occupa la scena con la sua interpretazione fatta di nevrotici tic (gli occhiali continuamente aggiustati con l'indice, le labbra spesso contratte, la monumentale pancia enfiata alla maniera di De Niro in Toro Scatenato) che nulla però aggiungono alla psicologia del personaggio. Perché “Chapter 27” sceglie sì di far raccontare i tre giorni che precedettero l'assassinio dallo stesso Chapman riportando su schermo con insopportabile voice-off i suoi pensieri più reconditi ma manca clamorosamente il quadro d'insieme.


Innanzitutto proprio dello stesso appesantito finto-hawaiano: la ripetizione di gesti, i giri a vuoto, i fallimenti intrapersonali con Jude e il fotografo Paul Goresh sono avulsi dal vissuto dalla precedente biografia. I rapporti col padre violento, che certo ebbero un peso nella psiche del ragazzo, la maniacalità del sentirsi l'incarnazione terrena di Holden Caufield, protagonista del romanzo più famoso di J.D. Salinger, l'ossessione rivolta verso proprio John Lennon e non altre superstar mediali, vengono derubricati a rapidi accenni che si suppone già interiorizzati da uno spettatore iper-informato. Scegliendo di marcare allo stesso tempo le tappe cronachistiche della vicenda con una produzione indie che denuncia la povertà di mezzi ad ogni inquadratura “Chapter 27” irretisce per questa bulimia chapmaniana che come per quel disturbo alimentare fa ingrassare lo spettatore di cibi tossici senza mai dargli appagamento gustativo. Così la scelta di lasciare fuori fuoco prima Lennon e dopo fuori inquadratura il suo corpo morto più che un'intelligente ed altra re-visione di un fatto fondativo dell'epoca massmediatica (da allora sul fandom che uccide i suoi eroi esiste una bibliografia sterminata) sembra denotarne la timidezza di un possibile confronto. E quanto quel dialogo dovesse realizzarsi in ben altro modo lo dimostra lo stesso finale che infatti prova a chiudere sulle immagini reali dell'incredibile folla radunatasi subito dopo la notte dell'omicidio attorno il Dakota Building a piangere il suo martire musicale. 


Schaffer però prende la strada più banale buttandola sull'accusa di correità a quelle stesse persone mossa da un Leto che guarda in macchina per la prima ed unica volta. Una chiusa che dietro l'apparente frustata nasconde in realtà l'incapacità di aver elaborato all'interno dei suoi lunghissimi 100 minuti di durata una qualsiasi voglia analisi sociale del fenomeno Mark David Chapman. Alla luce di un'opera così facilona, mal scritta e mal diretta, le polemiche che seguirono l'uscita del film mostrano soltanto come il lutto celebrity più grande del Novecento sia ancora molto lontano dall'essere elaborato. “L'assassinio di John Lennon è anche colpa tua” e “Chapman potevi essere tu” restano infatti formulazioni irricevibili sia nel 2007 che in questo 2020.

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