La recensione di "Matthias & Maxime", di Xavier Dolan distribuito da Lucky Red in streaming dal 27 Giugno

Recensione a cura di Mario Turco

Ha sicuramente ragione Beurdeley, studioso del Maghreb folgorato sulla via (cinematografica) di Damasco dalla filmografia di Xavier Dolan, a scrivere che le reazioni rispetto ai suoi film si limitano a due solo antitetiche categorie, la Dolanphobia e la Dolanphilia. Ma è altrettanto vero che in qualunque recensione dei suoi lavori il regista franco-canadese venga coscritto nelle altrettanto dicotomiche recinzioni dell'evoluzione e dell'involuzione. Ancora storditi da un talento precocissimo e fieramente lontano dai modelli colti della cinematografia (il Titanic di James Cameron come faro rivendicato nelle recenti interviste), i critici scontano, chissà perché, un'eccessiva vicinanza stilistica ai suoi temi o un fastidioso paternalismo. “Matthias & Maxime”, ultimo suo film presentato a Cannes nel 2019 e distribuito da Lucky Red dal 27 Giugno soltanto in streaming, ha il principale merito di mettere un punto fermo nella discussione: il cinema di Dolan non intende avanzare di un solo passo nello stile né nella forma. Ma questo non vuol dire che egli stia retrocedendo, anzi.


“Matthias & Maxime” conferma come il regista del Québec stia ancora cercando, nella sua bulimia (otto film in 10 anni) di capire come arrivare al suo unico e solo capolavoro. E così anche quest'ultimo ha il sapore del work in progress, dell'interlocuzione artistica, del necessario respiro e ritorno a casa dopo gli strali sull'ambizioso “La mia vita con John F. Donovan”. Dolan ritorna attore ritagliandosi qui la parte del problematico Maxime, ragazzo con un angioma in viso a forma di lacrima dal quale sembrano scendere a pioggia tutti i suoi guai. La scelta di interpretarlo con un campionario di faccette, mossette e ammiccamenti che miracolosamente non cadono mai nello stucchevole dovrebbe suggerire allo stesso Dolan un'altra variabile di percorso nella sua carriera. Chissà che performance potrebbe regalare nelle mani di un regista altro da lui, privo della sua auto-indulgenza e della sua poetica volutamente limitata. “Matthias & Maxime” sembra infatti l'opera che Dolan stesso vorrebbe vedere da spettatore in un sabato sera piovoso, un film che lo carezzi dopo una giornata difficile. Il sentimento nascosto tra i due amici protagonisti, innescato casualmente ma inesorabilmente da un bacio dato quasi per gioco in un corto sperimentale “espressionista ed impressionista allo stesso tempo” (l'arroganza verbale di Dolan non riesce a scostarsi da certa foga adolescenziale), è raggelato nei soliti stilemi melodrammatici. Sicuramente meno urlati rispetto agli ultimi due film, soprattutto “È solo la fine del mondo”, ma prevedibili nel loro sviluppo. Insomma, non più scene madri ma comunque madrine. Le parole che i due protagonisti non si dicono non diventano mai delicate omissioni perché vengono sostituite da situazioni invero molto esplicative. 


In “Matthias & Maxime” la storia è sempre a favore di camera, pronta ad essere immortalata o spiegata tramite qualche flash nei suoi punti più oscuri. Ci sono ancora una volta una madre ingombrante, un fratello assente, un padre non pervenuto, un'irrequietezza di fondo da nascondere sotto una felpa col cappuccio. E forse ci saranno sempre nella filmografia di una persona che ha un rapporto col cinema morboso, ed interessante proprio per questo: “Il cinema per me, è ciò che mi manca. Quel che mi manca nella vita è la mia infanzia, il mio passato, il rapporto con mia madre, la sottile differenza che provo rispetto agli altri, alla società, al modo di pensare. Il cinema mi permette di ritrovare tutto questo” - ha detto qualche tempo fa Xavier Dolan con la disarmante sincerità che lo contrassegna. E dire che “Matthias & Maxime” prova per la prima volta a mettere al centro non solo i due amanti ma anche il loro gruppo di amici, giovani alla prese con le prime ansie della maturità. Il problema è che nessuno di loro ha una sottostoria interessante ma una funzione precipuamente residuale, sparring partner per dialoghi brillanti e poco più. La superficie di questa comitiva, persa tra interni borghesi e bellezza eterogenea (e via di mitologia sulla fisicità canadese!), insiste così tanto sulla leggerezza da rischiare più volte la superficialità. Così come la scena d'amore tanto aspettata esplode con la corporalità che ci si aspetta, senza però riuscire ad impressionare e scavare a fondo sulla psiche di chi li guarda da fuori. Le paturnie amorose di “Matthias & Maxime” restano solo loro, come dice in fondo lo stesso titolo. A Xavier Dolan questa soggettività piace, sia da regista che da spettatore. Ma a noi?

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