Recensione: L'asino morto, di Jules Janin

Titolo:
L'asino morto
Autore: Jules Janin
Editore: Marietti 1820
Pagine: 256
Anno di pubblicazione: 2021
Prezzo copertina: 16,00 €

Recensione a cura di Mario Turco

“Il giorno dopo, quando ritornai, non c'era più alcuna tomba. Il cadavere era stato trafugato per la scuola di medicina, e le donne del luogo avevano preso il sudario per farne un loro uso. Capii allora che se le cose fossero andate diversamente, il destino sciagurato di Henriette non si sarebbe compiuto nella sua interezza”. Bisogna arrivare a questo finale nerissimo, uno dei più tetri del romanzo europeo dell'Ottocento, per riuscire ad apprezzare la sottile fascinazione che si situa dietro “L'asino morto”, di Jules Janin edito da Marietti1820 nell'elegante traduzione di Giorgio Leonardi. Perché l'esordio lungo dello scrittore francese a soli 25 anni – Janin fu giornalista e polemista di lungo corso che alla fine della sua vita fu nominato addirittura accademico di Francia – per quasi tutte le sue 200 pagine di lettura non mostra mai lo spessore del capolavoro né tracce di grandezza. Anzi, arriva presto a mostrare la corda di esperimento letterario figlio dei suoi tempi e delle sue mode, in questo caso il racconto perversamente amorale alla Sade. 


“L'asino morto”, anche per la natura semisconosciuta delle sue fortune in Italia (pubblicato per la prima volta in Francia nel 1829, noi l'abbiamo potuto leggere nella nostra lingua solo nel 2015), si situa così tra l'oscena progenitura del Divin Marchese e la poetica filiazione in Charles Baudelaire. Ma non demolisce la virtù così spietatamente e metodicamente come Justine né possiede lo spleen de I fiori del male. Il racconto in prima persona fatto dall'anonimo protagonista della caduta morale della soave contadinotta Henriette nel vizio e nella depravazione fino alla condanna a morte, preceduta sinistramente da quella del suo amato asino, è un catalogo degli orrori fatto con borghese compiacimento. Sia per adesione programmatica alla corrente del frénétisme, quel filone estremo del Romanticismo che si contrapponeva alle componenti elegiache portando invece agli eccessi alcuni motivi peculiari come il gusto per la violenza di matrice appunto sadiana, sia per il distacco ironico dalla materia trattata che non permette mai un approfondimento psicologico sui numerosi casi di perversione trattati. Il romanzo breve di Janin infatti si serve paradossalmente della prima persona come escamotage per stilare una specie di casellario giudiziario che sfila davanti gli occhi del protagonista durante le sue peregrinazioni alla ricerca dell'innocenza perduta della fugacemente amata Henriette. Soltanto che la brevità di situazioni – la seconda morte di alcuni personaggi, il macchinario sessuale costruito da un anonimo carpentiere, il segmento alla Salpêtrière – rimangono accenni “carogneschi” non in grado di ergersi a vere costruzioni nichiliste. 


Però quest'incessante srotolamento di cattiverie, nato per intenti parodistici e beffardamente diventato presto una gemma delle letteratura nera, sul citato finale acquista un notevole peso specifico in grado di ribaltarne l'esile narrazione. Come scritto dallo stesso autore, in “una società che, stanca di chiedere emozioni agli eroi della storia, non ha trovato niente di meglio per distrarsi che ricorrere ai galeotti e ai carnefici”, la desolazione provata dell'aristocratico protagonista di fronte all'incoercibilità dell'abisso esperito dalle miserabile masse della Parigi dell'Ottocento non può non suscitare un sentimento di compassione sincera. La patetica fine di Henriette e del suo bambino, uccisi da quel Charlot che in francese indica il nome del boia ma nel romanzo è anche il nome dell'asino adorato dalla ragazza prima di perdersi nei meandri della capitale corrotta, assume una valenza tragica che fa interrogare il lettore sulla mancanza di meccanismi istituzionali atti a negarla. Ne “L'asino morto” a suscitare davvero ribrezzo è la solitudine sociale di questi individui, per i quali basta lo scannamento dell'amato animale a portarli su una china inarrestabile di degrado e sottomissione ai capricci delle classi più agiate. Un feudalesimo etico, insomma, che dall'Ottocento passa per subdole falde storiche fino ai giorni nostri, come per i migranti bloccati tra Bielorussia e Polonia.

L'AUTORE
Jules Janin (1804-1874), letterato, giornalista, critico teatrale e romanziere francese, fu accademico di Francia. In Italia la sua figura è legata alla polemica con Francesco De Sanctis, che gli dedicò tre dei suoi Saggi critici.

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