La recensione dello spettacolo "Histoires des vampires", del Grand Guignol de Milan in scena al Teatro Petrolini fino al 3 Luglio

Recensione a cura di Mario Turco

Ammettiamolo: gli zombie sono i proletari dell’horror mentre i vampiri sono i borghesi. Se i primi sono indistinguibili tra loro, fanno del numero la loro forza dato che singolarmente essa è trascurabile e quasi sempre tendono a sbranarsi tra loro invece di attaccare chi li ha ridotti così, i vampiri nel campo demonologico sono dei privilegiati considerato che la loro maledizione li rende allo stesso tempo molto più potenti e quasi immortali, vivono succhiando quasi sempre il sangue di povere prede e la loro esistenza non minaccia mai il sistema ma si insinua nei suoi meandri oscuri senza grossi perturbamenti. L’iconografia degli ultimi due secoli ha accentuato la dimensione aristocratica di questa sorta di pipistrelli umani accentuando in senso romantico la loro tragica figura. Ecco allora che l’esordio di “Histoires des vampires”, del Grand Guignol de Milan in scena al Teatro Petrolini di Roma fino al 03 Luglio, affidato come sempre al sardonico e mefistofelico Principe delle Tenebre, è un colpo al cuore (ma senza paletto di frassino!) del pubblico: l’eternità non è uno supplizio né una colpa ma una lunghissima ripetizione di atti edonistici da godere senza rimorsi. 


In queste tre storie di vampiri portate sul palco da una delle cinque compagnie del macabro teatro riconosciute al mondo per questo genere, questi “revenant” nati nel folklore serbo vengono spogliati della loro recente stucchevole estetica ed indagati nel loro substrato più popolare. Come annuncia Gianfilippo Maria Falsina Lamberti, autore e regista della Compagnia che come sempre si ritaglia il ruolo di collante tra le diverse scene – e l’interazione col pubblico, fatta di battute che vanno oltre il limite del consentito (la bellezza della necrofilia e di parafilie simili!) e gag modellate sull’attualità (guerra in Ucraina e Covid) è forse la nota più sorprendente e riuscita di questa fortunata risemantizzazione -, qui non vedremo Dracula, Nosferatu, sete di sangue e sexy canini ma “il vampiro preferito del vostro vampiro preferito”. Alla stregua di uno studio etnografico, l’interesse dello spettacolo verte sulle origini contadine delle leggende vampiriche: d’altronde i pipistrelli non sono animali che si vedono principalmente nelle campagne? E anche la componente sessuale di cui questi particolari non-morti sono imbevuti non è una pulsione naturale ascrivibile al quotidiano di famiglie che lo sperimentavano in grande quantità e sin dalla più tenera età? “Sono tre notti che il cadavere di mio marito torna per scoparmi” dice nella prima storia la donna all’allibita suora che fatica a credere più alla migliorata ars amatoria del compaesano morto (chiedendosi se anche il defunto prete della zona possa, magari, ricevere quelle qualità qualora uscisse dalla tomba) piuttosto che al suo ritorno alla vita, prerogativa per i cristiani soltanto del Figlio di Dio. 


Pur ricorrendo in grande parti al comico e ritrovando dopo un paio di uscite a vuoto qualche fortunato tormentone, “Histoires des vampires” s’avvale infatti di una scrittura molto ispirata che invece di ricorrere a facili stilemi traccia le coordinate di quel tipo di immaginario denunciando la sua matrice più provinciale. Ecco allora che nella terza storia, un intelligente racconto polifonico compiuto dai frequentatori di una sordida osteria settentrionale, la vicenda di Vincenzo Verzeni supera presto la superficiale risata che può far scaturire la denominazione de “il vampiro della Bergamasca” per sviscerare alcune delle possibili cause del clamoroso errore giudiziario che vide coinvolto il primo serial killer della nostra penisola nella seconda metà dell’Ottocento. Se in Italia fino al 1914 era possibile essere accusati di vampirismo e se ancora adesso su Google basta digitare la parola vampirismo per essere dirottati, come se fosse una domanda scientifica, alla richiesta su quanti vampiri ci sono nel nostro Paese ci si può rendere conto che come sempre, anche nell’horror più fantasioso, le nostre antiche e moderne mitologie tentino di esorcizzare le nostre paure. Una risata seppellirà i nostri incubi, scriveva qualcuno ma per fortuna, nel caso del Grand Guignol de Milan, un’altra li riesumerà.

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