Recensione a cura di Mario Turco
Progetto a lungo solleticato, Il sol dell’avvenire ha premesse tutt’altro che esaltanti: l’iniziale idea, pubblicizzata da vent’anni in quasi tutte le interviste concesse alla stampa, di raccontare la lacerazione di un piccolo segretario locale del PCI di fronte all’invasione delle truppe sovietiche in Ungheria nel 1956 viene filtrata attraverso il più classico degli espedienti metacinematografici: la lavorazione del film, girato proprio da Nanni, su questa storia. E così la vicenda di Ennio (Silvio Orlando), giornalista de l’Unità e segretario della sezione del Quarticciolo – che si conferma essere il quartiere popolare più amato dagli intellettuali borghesi – che si trova a gestire lo sciopero degli acrobati del Circo Budavari, in appoggio ai compagni uccisi dai carri armati russi, perde il suo interesse finzionale per diventare, da subito, il set sia del nuovo lungometraggio di Moretti che soprattutto della sua crisi. Le prime scene confermano il timore dell’inconcludenza di questo ennesimo otto e mezzo autoriale (d’altronde vediamo anche il finale sulla spiaggia de “La dolce vita”): la ricostruzione storica che Moretti fa dell’importanza del Partito Comunista Italiano ad un suo collaboratore macchiettisticamente idiota mi ricorda quelle altrettanto sfalsate dalla distanza temporale che mio nonno mi faceva ad ogni pranzo sui galantuomini siciliani. Il buon Nanni crede davvero che un trenta-quarantenne della classe media sia così digiuno di Storia da credere che i due milioni di comunisti presenti a quei tempi nella nostra Penisola siano stati russi trasferiti (e come battuta può essere apprezzata solo dai berlusconiani)? Dentro Il sol dell’avvenire ho scorto, come ormai da qualche anno, preoccupanti segni di regressione culturale come questi che vengono surrettiziamente motivati con la necessità di integrità morale.
“Nella vita due o tre principi bisogna pur averli” chiosa Nanni alla moglie (Margherita Buy, bellissima e bravissima ma con i limiti del solito personaggio appiccicatole addosso) produttrice dopo la scena più emblematica di questa dimensione moralisticamente senile del suo cinema. Quando visita il set di un giovane regista che sta girando la crudele esecuzione dei suoi due protagonisti che concluderà il suo film, Nanni si lascia andare ad una filippica – che blocca il set per un’intera notte! - sull’estetizzazione della violenza che lascia basiti per approssimazione ed ovvietà. Si cita pedissequamente il Kieślowski di “Breve note sull’uccidere” che aveva il merito etico di rendere insopportabile la scena dell’omicidio ma si ha anche il merito di liquidare, con splendida ed arrogante sintesi, questo tipo di cinema di genere con un “La scena che stai girando fa male al cinema”. Mentre guardavo questo segmento facevo un raffronto con Voltaire, quasi sempre straordinario ma a volte inutilmente pedante, quindi figuriamoci se a parlare così è un moralista appesantito e con principi di strabismo che non ha l’umiltà di accorgersi che qualche primo piano sul suo viso avrebbe fatto solo bene al suo film. Come se dovesse quasi liberarsi di tutti i vezzi della sua filmografia – i canti stonati in macchina, le sedute della moglie con lo psicanalista, la separazione tormentata dal coniuge – Il sol dell’avvenire dopo una prima farraginosa prima parte è, vero miracolo morettiano che mi fa di nuovo avere fiducia nei grandi anziani italiani (nel mondo i Maestri invecchiano sempre con più lucidità) del cinema, è libero finalmente di concentrarsi in maniera autentica sugli sbalzi umorali del suo protagonista/regista. Ecco che frammenti di sconsiderata e struggente emotività, come quello che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia: “Invocavo mia madre, morta 12 anni fa”, coesistono con funerei propositi suicidi che sembrano a questo punto aver davvero toccato la mente del Moretti reale. “Io voglio fare la storia con i se” – rivendica il regista ed anche se questi “se” non saranno visti in 190 paesi – incredibilmente le gag su Netflix funzionano e non sono saccenti come sembravano dal trailer! - a me basta che possano ancora proseguire (rigorosamente su grande schermo) e che quella sfilata finale sui Fori Imperiali di personaggi e situazioni di una filmografia che rimane comunque eccellente sia davvero solo un saluto momentaneo e non un testamento.