La recensione di "Mimì - Il principe delle tenebre", di Brando De Sica nelle sale dal 16 Novembre distribuito da Cinecittà Luce

Recensione a cura di Mario Turco

Dove c'è luce albergano anche le tenebre. E dove ci sono ragazzi che crescono c'è sempre la possibilità che un qualche evento li faccia precipitare verso il basso o li elevi verso l'alto. L'adolescenza è l'età delle possibilità e allo stesso tempo il campo di guerra dove combattere questa battaglia personale tra bene e male. Una lotta dall'esito incerto in cui a volte basta un nonnulla, come un rapporto (sbagliato) con un altro essere simile e contrario, per determinarne l'esito. Con "Mimì - Il principe delle tenebre", di Brando De Sica nelle sale dal 16 Novembre distribuito da Cinecittà Luce dopo esser passato anche al prestigioso Locarno Film Festival abbiamo una storia che esemplifica, attraverso il cinema di genere, i pericoli horror e le gioie amorose della gioventù.
 

L'esordio del regista romano è un teen-drama coraggioso e personalissimo che, come i suoi due bei protagonisti, dimostra di non avere paura di niente e che osa volare altissimo sapendo che anche uno schianto fragoroso ha comunque il merito di suscitare rumore. Mimì - Il principe delle tenebre è difatti incentrato sull'omonimo protagonista (un giustamente allucinato Domenico Cuomo), un giovane orfano che lavora come pizzaiolo nella trattoria del padre adottivo a Napoli. Affetto da una malformazione ai piedi che lo rende oggetto di ingiurie e vessazioni, un giorno fa la conoscenza di un’adolescente dall’evocativo alias di Carmilla (Sara Ciocca, che da provetta doppiatrice fa davvero un lavoro incredibile sulla voce di questo personaggio così complesso), una ragazzina alquanto misteriosa e dark che dice di discendere, per parte di madre, niente di meno che dalla famiglia Vlad, la stessa del conte Dracula. Tra macabri incontri al cimitero ed una lettura di romanzi gotici in un casa dagli interni barocchi, tra i due ragazzi così diversi scoppia inopinatamente il più classico degli amor fou. Mimì però, per stare al passo dei gusti estetici della sua fidanzata, recupera prima la visione del Nosferatu di Murnau, poi si fa impiantare dei canini veri ed infine cade in un delirio che gli fa credere di essere diventato lui stesso un vampiro. Un sedicente principe delle tenebre però in salsa napoletana che dovrà anche vendicarsi nel frattempo di uno dei tanti reucci della canzone neomelodica, reo di avergli nel frattempo anche rubato la ragazza.


Goth-story che è anche ghost-story (i fantasmi psichici di Mimì nel giro all'orfanotrofio) e perfino host-story dato che il protagonista dentro di sé, da bravo freak, ospita un lato oscuro malcelato dalle fattezze remissive, Mimì - Il principe delle tenebre è un lungometraggio che sgomita con ambizione ad ogni inquadratura per farsi notare. Esteticamente rutilante - De Sica non si risparmia nulla: grandangoli, inquadrature geometriche o con punti di ripresa impossibili, fiotti di sangue, luci fluo -, il film non esonda però mai in derive arthouse di tanti suoi colleghi (Refn, Mitchell, Eggers ed il resto di questa orrida compagnia) perché mischia con passione il racconto di formazione disagiata con la vicenda crime di sapore partenopeo. Su questo ultimo punto, il regista romano ripesca la nobilissima tradizione gotica del capoluogo campano - la leggenda vuole che lo stesso Dracula sia sepolto a Napoli, ricorda la ragazza che omaggiava Le Fanu - ed utilizza perfino in alcune scene il suo dialetto più sporco e meno musicale ("Quella ti fa i pompini con il culo"). Il cuore nero di Mimì - Il principe delle tenebre, come tanti degli organi di pompaggio del sangue dei cultori di Poe ed affini, è allora il frutto marcio di una società violenta che opprime chi è diverso obbligandolo ad un'acquiescenza omologatrice. Pur non giustificando le atrocità commesse da questa coppia di giovani, come invece faceva Guadagnino con i protagonisti del suo laccato Bones and all, la sceneggiatura di De Sica-Pollini Giolai-Chiti (probabilmente si deve a questo ultimo la quadratura di una scrittura che in altre mani avrebbe sicuramente toccato il kitsch) lascia che l'ovvia comparazione tra la sete di sangue di questi aspiranti vampiri e quella altrettanto famelica del corrotto ambiente circostante arrivi a far empatizzare allo spettatore il forte finale con cui si conclude la storia. Il romanticismo dark del finale, pur se ampiamente prevedibile, affascina morbosamente ed eroticamente come farebbe un collo scoperto ad un succhiasangue. Con questo suo debutto De Sica infigge un intelligente e ottimamente girato stiletto sul petto di tanto cinema italiano che, a differenza di Mimì, è davvero un non-morto che cammina purtroppo sui nostri schermi.

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