La recensione di "Miss Marple, Giochi di prestigio", di Agatha Christie per la regia di Stefano Messina al Teatro Vittoria fino al 3 Dicembre

Recensione a cura di Mario Turco

Di tutta la produzione di Agatha Christie, i romanzi e i racconti incentrati sulla vecchia Miss Marple hanno sempre fatto fatica a prendere lo spazio dei media più importanti. Le avventure della vegliarda di Saint Mary Mead, difatti, escluse serie tv non indimenticabili ed un paio di ottimi film che comunque rielaboravano di molto la trama originale, non hanno mai lasciato il segno nell’immaginario dei non cultori del genere giallo. La staticità narrativa incentrata su un’anziana donna con la passione del giardinaggio e l’ambiente provinciale entro il quale si muoveva in maniera esclusiva hanno saputo sicuramente suscitare simpatia ma l’hanno confinata nei territori dell’affetto poco interessato che si riserva, appunto, a nonni o vecchi con un percorso di vita incolore. Se videogiochi, cinema e le serie delle streaming-age continuano ad ignorarla bellamente è a teatro che Miss Marple si può prendere la sua (pacata) rivincita, forte della vicinanza e della partecipazione di un pubblico più ricettivo nei confronti di un personaggio che basa il suo successo sulle astuzie di una mente solo apparentemente comune. 


Ecco allora che il Teatro Vittoria di Roma porta in scena fino al 3 Dicembre una delle sue avventure più celebri, “Miss Marple, Giochi di prestigio”, per la regia di Stefano Messina e la traduzione e l’adattamento di Edoardo Erba. Avvalendosi della produzione di Attori & Tecnici, che torna così ad uno dei testi più famosi di Agatha Christie (lo si scrive quasi sempre ma il canone della scrittrice inglese può davvero contare, a differenza di tanti altri suoi colleghi, su un numero elevato di capolavori), lo spettacolo mette in scena in maniera giocosa e rispettosa la memorabile avventura della tenera ma un po’ impicciona “signorina” nella tenuta di Stonygates. La pièce ce la presenta ferma in una panchina, interpretata con soavità flautata da Viviana Toniolo, intenta a sferragliare come sempre e a discutere con l’amica Ruth (Francesca Draghetti, bravissima nella doppia veste di questo pomposo personaggio e della dimessa gemella Caroline) dei problemi della sorella, tenutaria insieme al marito Lewis di una grande villa in cui stanno portando avanti un esperimento sociale finalizzato al recupero sociale di criminali e “minorati” (ci sarebbe da aprire una parentesi sul precoce invecchiamento del linguaggio politicamente scorrettissimo di Christie ma è un dato di fatto che gran parte dei gialli del secolo scorso non sopravviverebbe alla scure delle sensibilità di questo secolo). Ma non sono i delinquenti a rappresentare il pericolo maggiore nella magione ovviamente vittoriana – canonica ma gustosa la scenografia di Alessandro Chiti che ha la sola pecca di essere un po’ troppo bidimensionale – perché i componenti della famiglia allargata che l’abitano sono mossi da rivalità e rancori degne dei dieci piccoli indiani. 


In “Miss Marple, Giochi di prestigio” il plot della storia viene eseguito fedelmente cercando di dare forza sia alla componente mistery, invero loffia in questo caso ma ci torneremo, attraverso sottolineature musicali dei momenti più drammatici e le riflessioni deduttive dell’investigatrice espresse ad alta voce, sia attraverso la mirabile tipizzazione dei suoi numerosi protagonisti. Su quest’ultimo punto la critica sociale del testo originale si dimostra ancora valida, come nel caso del grandioso progetto umanitario di Lewis (un grande Carlo Lizzani, gonfio come un otre di gentilezze esasperate), “un altro fissato con la filantropia”, o del vetero-progressismo di matrimoni tra esponenti di ceti sociali troppo diversi perché, come ricorda Marple, “A me le classi piacciono. Mi trovo così bene nella mia”. È purtroppo nella risoluzione dell’omicidio che distrugge l’ipocrita quiete di Stonygates che lo spettacolo porta qualche segno di stanchezza. A distanza di quasi un secolo gli enigmi della stanza chiusa non hanno infatti lo stesso fascino dei primi tempi e la sua mera riproposizione su palcoscenico rende evidente l’artificio che solo sulla carta stampata poteva far scervellare le meningi del lettore. Allo spettatore del 2023 non serve avere un udito particolarmente fine o essere uno psichiatria per capire chi fosse già alla fine del primo atto l’assassino del povero Christian. Miss Marple, Giochi di prestigio dimostra allora che a teatro il delitto funziona meglio come trattato di psicologia che come gioco cerebrale.

LIBRI & CULTURA CONSIGLIA...