La recensione di "Il ragazzo e l'airone", di Hayao Miyazaki nelle sale dal 1 Gennaio 2024 distribuito da Lucky Red

Recensione a cura di Mario Turco

Capolavoro. Quante volte questo termine viene accostato agli esiti della filmografia di un regista? Quante volte nel corso di una lunga e prolifica carriera un direttore d'immagini può vantarsi di averne dirette alcune in grado di segnare in maniera indelebile la settima arte? E in quante occasioni capita che un filmmaker torni dalla pensione in cui era andato perché, a distanza di dieci anni dal suo ultimo lavoro testamentario e a più di 80 anni d'età anagrafica, senta l'urgenza di avere una storia da raccontare, un'avventura da narrare, una perdita familiare da far metabolizzare al suo pubblico? 


Con "Il ragazzo e l'airone", di Hayao Miyazaki nelle sale dal 01 Gennaio 2024 nelle sale italiane distribuito da Lucky Red dopo aver incantato ad Ottobre la Festa del cinema di Roma, siamo di fronte ad una delle sorprese più clamorose che il cinema, d'animazione e non, ricordi negli ultimi anni. Tratto molto liberamente dal romanzo del 1937 "E voi come vivrete?", di Genzaburō Yoshino, dal quale sono tratti il titolo e le tematiche filosofiche ma non il soggetto, il lungometraggio si apre subito con il lutto che segnerà il giovane protagonista: il dodicenne Mahito Maki perde purtroppo l'amata madre in un incendio, animato in maniera espressionista e meravigliosa dallo Studio Ghibli. Siamo nel 1944 ed il Giappone soffre le catastrofiche conseguenze della Seconda Guerra Mondiale, così il ragazzo e il padre si trasferiscono dalla bombardata Tokyo in un piccolo paese di campagna. Oltre che per questioni di sopravvivenza e lavorative - il genitore dirige un'industria bellica, tensione che aleggia in maniera carsica durante la visione -, questo cambiamento è dovuto al fatto che Mahito deve far conoscenza con la nuova compagna del padre che, in un società patriarcale come quella del Sol Levante, è Natsuko, non molto a sorpresa la sorella minore della madre deceduta così poco tempo prima. Anche se la matrigna è una donna gentilissima e prodiga di attenzioni, il ragazzo fatica ad accettare la nuova famiglia (Natsuko è anche incinta di un cugino-fratello!) tanto da rifiutare, attraverso lo stratagemma di una ferita auto-inferta, perfino di andare a scuola. Presto la presenza di un misterioso airone cinerino, che sembra avercela in maniera personale proprio con lui, lo indurrà a recarsi presso una torre diroccata situata vicino la tenuta di campagna che gli apre l'ingresso verso quella che sembra un'altra dimensione, situata sì in una diversa collocazione spazio-temporale ma con molti punti di raccordo con la sua stessa esistenza. Mahito infatti imparerà ad elaborare il lutto dell'amata madre, ad accettare quella che il destino gli ha assegnato adesso e perfino a salvare l'equilibrio del mondo grazie al prozio-demiurgo che aveva eretto quella costruzione magica... 


"Il ragazzo e l'airone" è un film che si situa all'incrocio tra l'esuberanza di un cineasta alle prime armi, desideroso di lasciarsi andare al flusso degli eventi fantastici che sta mettendo in scena senza preoccuparsi eccessivamente della loro logicità, e la professionalità di un maturo regista che riesce a tenere anche le spinte più centrifughe della storia dentro una cornice che prevede la fermezza delle strutture archetipiche. Portando su schermo una storia che replica in più punti alcuni passaggi del suo film più celebrato, "La città incantata", Miyazaki si scrolla quindi di dosso i drammi realisti di "Si alza il vento" e le eccessive infantilizzazioni di "Ponyo sulla scogliera" per tornare con gusto all'avventura fantastica dei suoi eterni e problematici pre-adolescenti. Ed è soprattutto questa continua ricerca di sé stessi attuata attraverso la scoperta di mondi altri che in “Il ragazzo e l’airone” raggiunge vertici empatici di sublime bellezza, come nel caso dell’altalenante relazione tra il giovane e il demone-uccello che tocca tutto lo spettro delle possibili divaricazioni che vanno dalla mortale inimicizia (“Ti divorerò la faccia”) alla convivenza ostile fino alla scoperta amicizia del finale. Forse l’unica componente di un lungometraggio fin troppo carico di spunti che lascia un po’ spaesati è la responsabilità da “creatore di mondi” con cui Mahito chiude la sua lunga e picaresca fuga intradimensionale. Ma è un piccolo ed ininfluente neo all’interno di un cammino di vita in cui il ragazzo impara a capire che non è mai stato vero che di mamma c’è una sola e che accettarne una seconda non vuol dire dimenticare la prima. Così anche l’abbraccio finale della nuova famiglia tra le feci dei terribili parrocchetti – che capacità di creare ancora una volta personaggi subito iconici con due tratti di matita! - è, questa volta sì, la chiusa ideale della carriera di Hayao Miyazaki.

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