La recensione di "Piccoli crimini coniugali", lo spettacolo diretto da Michele Placido in scena al Teatro Quirino fino al 13 ottobre

Recensione a cura di Mario Turco

L'amore in "Piccoli crimini coniugali", piecè di Erik Schmitt adattata da Michele Placido e in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 13 Ottobre, è un discorso a due dove gli altri (noi spettatori in questo caso) sono invitati al massimo a guardarne la rappresentazione che ne danno i due unici protagonisti. L'inizio tranchant di questa recensione intende replicare la visione filosofica del sentimento che da solo "move il sole e l'altre stelle" trasmessa dall'opera del drammaturgo francese che tanto successo in Francia e anche in Italia ha avuto negli ultimi anni. "Piccoli crimini coniugali" ha infatti avuto nel 2017 una trasposizione cinematografica diretta da Alex Infascelli, regista che per gran parte della sua carriera ha esplorato territori horror. E la cosa non è affatto casuale considerata la crudeltà verbale che il testo dell'autore franco-belga e questa versione di Placido, alla seconda tournèe del testo nel giro di due anni, mantengono per tutta la durata. 


Marco e Lisa sono marito e moglie da 20 anni. Fanno parte di un ceto medio-alto borghese e li conosciamo per la prima volta quando rientrano in casa dopo un incidente domestico che ha reso smemorato lui. L'uomo si aggira per casa non riconoscendo gli oggetti dell'appartamento (molto azzeccata la scenografia pretenziosamente altolocata curata da Gianluca Amodio) e chiedendo continuamente nozioni sul suo passato alla moglie, che dal canto suo comincia a raccontargli una serie di evidenti frottole sul carattere del consorte fino ad arrivare alla massima invenzione applicabile a un maschio: a Marco piacerebbe accompagnare la sua compagna girare per ore in negozi soprattutto femminili! In questa prima parte il testo di Schmitt fa leva su un'ironia briosa ma quasi innocua, scegliendo scientemente di andare a toccare i nervi scoperti di una coppia attraverso sarcastiche sollecitazioni delle dinamiche interne. Michele Placido ed Anna Bonaiuto, unici due attori sulla scena, raffreddano la comicità dell’opera con una performance poco tattile dove i due amanti devono prima imparare a conoscersi ed accettarsi. Il rifiuto di un semplice bacio da parte di Lisa è facilmente esplicabile col fatto che un marito senza memoria è pur sempre un estraneo che a momenti di confidenza intima alterna arroganti pretese sessuali in virtù di una specie di ius primae noctis. La scrittura in questo frangente si balocca in pirandellismi/beckettismi sulla perdita d’identità che restano spesso fini a sé stessi. Si avverte continuamente il senso di gioco letterario ed infatti queste provocazioni non avranno conseguenze sul prosieguo della storia. 


Ma verso metà dell’opera “Piccoli crimini coniugali” abbandona questi estetismi di scrittura e si getta anima e corpo sul vero senso della sua storia, la corruzione endemica dell’amore. In mezzo ad una continua girandole di bugie, doppi giochi e dolorose recriminazioni Marco e Lisa mostrano infatti agli attoniti spettatori il loro perverso rapporto. Che non è un caso particolare ma il fato di tutti gli amanti a tutte le età: “Il destino dell’amore è la decadenza. Uomini e donne stanno insieme per toccare il fondo. E di fronte a una coppia, la domanda da porsi è chi per primo ucciderà l’altro”. O altre perle di saggezza quasi artaudiana come questa che insistono con pervicacia sul concetto: “Quando vedete un uomo e una donna davanti al sindaco o al prete, chiedetevi chi dei due sarà l’assassino”. L’intelligenza di Lisa non le permette comunque di scampare alla stupidità della gelosia mentre a Marco il successo dei suoi libri gialli lo avvicina pericolosamente a vanesi flirt con giovani lettrici. Anche se la scrittura di Schmitt si mantiene nel solco dell’eleganza non affondando mai veramente la penna nella ferocia più spinta (e Placido accentua questa specie di pruderia insistendo sui luoghi comuni amorosi del testo), la piecè riesce ad entrare sulla pelle dello spettatore medio scorticandogli piacevolmente le proprie certezze in tema. Come ha detto lo stesso Schmitt in un’intervista: “Piccoli crimini coniugali ha avuto un’adesione violenta da parte del pubblico. All’uscita del teatro, le coppie reagivano diversamente a seconda dell’età: i ventenni mi dicevano “Sei crudele!”, i quarantenni “Che realismo!”, i sessantenni “Che tenerezza!”. Avevano tutti ragione! A vent’anni si vorrebbe che l’amore fosse semplice. A quaranta si scopre che è complicato. A sessanta sappiamo che è bello proprio perché è complicato”.

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