La recensione dello spettacolo "Cucina buona in tempi cattivi", in scena al Teatro Studio Uno fino al 24 Novembre

Recensione a cura di Mario Turco

"Spezzeremo le reni alla Grecia" disse il dittatore Mussolini nel 1940 in uno dei suoi discorsi più audaci per motivare i propri gerarchi alla vigilia dell'invasione nella terra di Eschilo e Omero. Ed è con questo slogan foriero di violenza populista ante-litteram che comincia lo spettacolo "Cucina buona in tempi cattivi", testo originale scritto da Francesco Battaglia che sarà in scena al Teatro Studio Uno fino al 24 Novembre per la regia di Matteo Finamore. La storia parte in medias res mostrando una scenetta familiare in cui il giovane Guido si trova a doversi districare tra una madre riottosa nell'assumere la medicina che le tocca prendere ed un fratello che si balocca nel suo infantilismo esasperato. Ma l'improvvisa chiamata alle armi del protagonista, avvenuta per rinforzare le fila di un esercito che rivelerà ben presto la propria inadeguatezza, cambierà per sempre le sorti del ragazzo. La compagnia teatrale Fucina Zero, nata appena nel 2018, nell'ideazione e nell'allestimento di "Cucina buona in tempi cattivi" non ha paura di confrontarsi con un periodo storico che continua a propagare i suoi affastellati venefici anche in questo 2019. Lo fa però non insistendo sulla natura politica della sua creatura artistica ma lasciando che sia la vicenda di un uomo qualunque, perlopiù cuoco e quindi lontano dal fronte, a lanciare i messaggi connaturati alla brutalità della guerra. Il lavoro firmato da Francesco Battaglia ha una natura episodica che si avvale di una sovrastruttura connessa proprio al tema della cucina dato che i quattro attori a turno danno una specie di cappello culinario al segmento come fosse un menu: dall'antipasto al secondo fino ad arrivare al dolce, essi spiegano perfino la preparazione di tipici piatti locali abruzzesi.


L'ironia che a volte traspare tra le pieghe del racconto, specie col personaggio del fratello interpretato dal bravissimo Lorenzo Guerrieri che riesce a non esser mai stucchevole nella sua recitazione volutamente caricaturale, diventa drammatica come ad esempio nel pezzo dell'invasione greca dai parte dei militari fascisti. Proprio qui lo spettacolo di Finamore riesce ad evitare le secche della tragedia a tutti i costi facendo sì che l'isolana interpretata da Sara Giannelli esplichi il dramma dell'occupazione attraverso una performance mimica fatta di gesti coartati, imposti da un esercito italiano/tedesco che l'aveva precedentemente apostrofata alla stregua di un "cane" e che si impone maggiormente alla memoria dello spettatore proprio per una scelta tanto straniante. "Cucina buona in tempi cattivi" sceglie infatti spesso di esondare da un tracciato narrativo canonico con una serie di espedienti e trovate spesso riuscite. Forse però questo grande pregio, soprattutto per la misura con cui viene proposto, rappresenta contemporaneamente anche il limite maggiore dell'opera. Il racconto del ritorno a casa di Guido non riesce così ad assumere il tono catartico cercato nel finale spezzato ed ambiguo (anche su questa scelta: sognante ma fin troppo cinematografico, in senso deleterio, la figura in piena luce del protagonista su sfondo nevicante) proprio per via di una caratterizzazione fin lì troppo sfuggente a cui nemmeno lo splendido viso di Paolo Madonna, che sembra uscito dalla matita di Andrea Pazienza, riesce ad ovviare. La giovane compagnia Fucina Zero in questo suo esordio dimostra comunque una grandissima forza espressiva con alcune punte d'eccellenza (la regia di Matteo Finamore, l'attore Andrea Carriero) che ne faranno ben presto una delle realtà più importanti del teatro indipendente.

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