La recensione di " De-Siderale - Mare anarchico. Trilogia della nuda vita", scritto da Giuseppe Maria Martino e Lauraluna Fanina e andato in scena dal 16 al 19 gennaio al Teatro Studio Uno

Recensione a cura di Mario Turco

“Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo. Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a farne parte”. Si entra al Teatro Studio Uno e il collettivo BEstand per “De-Siderale", in scena dal 16 al 19 gennaio che rappresenta il secondo atto del progetto “Mare anarchico. Trilogia della nuda vita”, consegna agli spettatori una copia della lettera che Michele, il ragazzo friulano di 30 anni morto suicida nel 2017, lasciò in una giacca prima di impiccarsi. Lo spettacolo scritto da Giuseppe Maria Martino e Lauraluna Fanina intende raccontare proprio il dramma del giovane che in quell'anno divenne rapidamente il simbolo di una generazione il cui sempre più insostenibile precariato economico ha riverberi esiziali nelle vite di lavoratori privi di qualunque tutela sindacale. “Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavori come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l'altro genere [...]”, scriveva in altro passo della sua epistola d’addio.


In “De-Siderale” Michele è una presenza fantasmatica, più evocato che realmente presente in scena. Angela Dionisia Severino in quei rari momenti in cui s'affaccia sul palco lo restituisce nella sua dimensione più fragile e gli concede un unico monologo, quasi ossessivo nel suo paragone con un topolino che riesce a vedere la gabbia in cui si muove solo se gli si toglie il cibo. Nella pièce scritta dai due giovanissimi autori si vuole parlare della sua vicenda esemplare in absentia, dando piuttosto voce al circo mediatico che si è scatenato dopo la sua drastica scelta. La vera protagonista è allora la giovane madre interpretata dalla stessa Lauraluna Fanina che funziona da fil rouge della vicenda raccontando anche alcuni stralci di vita del suo bambino nel corso dell’infanzia. Lo spettacolo si articola quindi in una serie di bozzetti che dovrebbero scandagliare da diversi punti di vista il suicidio del ragazzo. Forse l’eccessivo pudore degli autori nell’avvicinarsi a una scelta così difficile lo fa navigare però in acque etiche fin troppo chete che non delineano una scelta ideologica chiara e con la quale magari raffrontarsi. Gli unici strali di “De-Siderale” sono rivolti verso bersagli fin troppo facili: la comunità dei vicini (il vecchio bisbetico interpretato dalla stessa Fanina con eccessiva caricatura), la svampita inviata tv, lo psicologo dal chiacchiericcio sterile, Salvini e finanche L’isola dei famosi


Dalla seconda metà il testo si raggomitola in polemiche con le quali è troppo facile empatizzare rinunciando ad alcune precedenti forti riletture e prese di posizione. Notevolissima ad esempio l’iniziale performance della Fanina in un segmento dall’impatto quasi videoclipparo che illuminata solo da un piccolo fascio di luce direttamente sul volto si dinoccola in una serie di smorfie rabbiose con in sottofondo il potente score musicale di “Il corpo del reato” di Iosonouncane. La replica però di questa scelta in un secondo spezzone con una canzone molto meno aggressiva e il finale con l’immortale ma fin troppo conosciuta “Annarella” dei CCCP ne depotenzia il significato facendone un semplice stilema piuttosto che un’incontrollabile reazione. “De-Siderale” ha il pregio e il difetto di sembrare un’opera scritta all’indomani del suicidio di Michele e se da un lato ciò gli conferisce la vicinanza di chi se ne sente toccato anagraficamente e socialmente, dall’altra non gli permette di acquisire la giusta distanza politica. “P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi. Ho resistito finché ho potuto”: poteva essere spunto di riflessione che mostrasse, a nemmeno tre anni da quel riferimento diretto, come l’assenza di politiche ministeriali fosse in realtà indipendente dal momentaneo capo del dicastero del lavoro. Non poteva essere sicuramente la tragedia inenarrabile del singolo NEET a porre rimedio ad una delle tare più significative dell’Italia post boom.

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