Recensione: La guerra di Gadda. Lettere e immagini (1915-1919), di Carlo Emilio Gadda

Titolo:
La guerra di Gadda. Lettere e immagini (1915-1919)
Autore: Carlo Emilio Gadda
Editore: Adelphi
Pagine: 424
Anno di pubblicazione: 2021
Prezzo copertina: 30,00 €

Recensione a cura di Mario Turco

La mano pesante del Gaddus, per citare un bellissimo articolo di Andrea Cortellessa pubblicato su Il Verri, non è sempre stata così dura. La Prima Guerra Mondiale cambiò non solo le sorti della storia ma anche quella della nostra letteratura perché senza la sua esistenza Carlo Emilio Gadda probabilmente non sarebbe divenuto il più grande scrittore italiano del Novecento. A confermare questo assunto già abbondantemente innaffiato di vero dalla pubblicazione di “Impossibilità di un diario di guerra” concorre la meritoria uscita in questi mesi nelle librerie del volume “La guerra di Gadda. Lettere e immagini (1915-1919)”, edito da Adelphi e curato da Giulia Fanfani, Arnaldo Liberati e Alessia Vezzoni. Il libro raccoglie un'ampia selezione delle lettere che animarono il quasi quotidiano carteggio tra lo scrittore Carlo, il fratello Enrico, la madre Adele e la sorella Clara durante il conflitto e che erano rimaste fino ad ora quasi tutte inedite. 


I tre curatori hanno compiuto un importante lavoro di trascrizione delle carte provenienti dall’Archivio Arnaldo Liberati di Villafranca di Verona e dal Gabinetto Viesseux, rovinate dall’alluvione di Firenze del 1966 e restaurate a partire dai primi anni del Duemila. La guerra di Gadda. Lettere e immagini (1915-1919) riesce nello stesso tempo ad essere un importante lavoro filologico che porta nuova linfa allo studio biografico dello scrittore de Quer pasticciaccio brutto de via Merulana ed allo stesso tempo un mirabile approfondimento psicologico su un nucleo familiare alto-borghese alla prese con i drammi della guerra. La scelta di portare all'attenzione del lettore non solo le lettere di Carlo Emilio – naturalmente predominanti ma come se questa posizione fosse stata conquistata, agli occhi dei curatori, solo per il maggior acume dello scrittore piuttosto che per semplice deferenza intellettuale – ma anche quelle dei fratelli e della madre permette di conoscere meglio il formidabile humus da cui è uscita siffatta pianta. L'intero epistolario è inoltre arricchito da un commento con note al testo di oltre 100 pagine che fornisce puntuali ragguagli socio-politici del tempo, chiarimenti sui riferimenti biografici e sulla vasta messe di parenti/amici tirati in ballo (il libro si chiude addirittura con un apparato iconografico sull'albero genealogico dei Gadda/Leher, la famiglia della madre!), e collegamenti tematici con le future opere letterarie dello scrittore. Sebbene giovanissimo quando partì interventista al fronte, queste lettere mostrano già alcune caratteristiche caratteriali proprie del Gadda maturo – l'ipersensibilità che gli causava fraintendimenti con le truppe, la metodica pignoleria contabile, la descrizione curiosa degli avvenimenti – mentre altre verranno esasperate in seguito dopo i tragici avvenimenti - la cognizione del dolore, per usare il titolo di uno dei suoi capolavori, il barocchismo linguistico, l'ampliamento della cultura scientifico-letteraria (curiosamente in lettere e cartoline così personali vi sono radi accenni ai libri letti e poche citazioni degli amati Manzoni, Dante e Parini, filtrate ancora dalla devozione filiale). 


La precisa cernita di questa raccolta permette di cogliere con un grande senso del ritmo le fatiche di guerra esperite dallo scrittore: dalle estenuanti marce notturne, calzato di “scarpe animalissime”, sui ghiacciai dell’Adamello alle soste nell’angusta, fradicia e afosa baracca ufficiali, al Rifugio Garibaldi situato nello Stelvio, dalla pietraia dell’Altopiano dei Sette Comuni alla disfatta di Caporetto e alla prigionia a Rastatt prima e Celle dopo. Ma è soprattutto il rapporto col fratello Enrico a trovare probabilmente la sua definitiva cristallizzazione accademica. Perché quello che traspare dalle lettere, oltre ad un'insospettata bravura stilistica di “Enricotto” che conferma nell'intera famiglia Gadda l'aurifera presenza di una mordacità colta, è una rivalità affettuosa densissima di significato. La naturale invidia per le temerarie imprese di Enrico e la sua fortuna al fronte (prima del tragico epilogo), accompagnate dai richiami alla prudenza economica non cedono però mai il passo all'astio e al livore, facendo sì che l'amore fraterno sia il fil rouge di questo epistolario lungo quattro anni. E se nel finale la morte di Enrico e la prigionia di Carlo Emilio chiudono con una nota tragica questo libro, la postfazione di Arnaldo Liberati torna fortunatamente ad inserire questi angoscianti fatti nel solco della ricca eredità gaddiana. “Te lo dico sinceramente, una ferita che testimoniasse i momenti vissuti, non mi sarebbe affatto dispiaciuta”, scriveva lo scrittore alla madre Adele poco prima del lutto familiare in uno dei tanti momenti di noia della sua vita da trincea. Non poteva saperlo ma Gonzalo Pirobutirro d'Eltino sarebbe purtroppo nato da questa spasmodica volontà di uscire “dalle grinfie merdose del mio porco destino”.

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