Recensione: Il detective difettoso. Ritorno al futuro per il romanzo poliziesco, di Roberto Barbolini
Titolo: Il detective difettoso. Ritorno al futuro per il romanzo poliziesco
Autore: Roberto Barbolini
Editore: Bibliotheka
Pagine: 200
Anno di pubblicazione: 2024
Prezzo copertina: 16,00 €
Quel gran genio di Gesualdo Bufalino aveva saputo riassumere l'importanza filosofica che il genere poliziesco-giallo-thriller ha assunto nel Novecento con una formula aforistica di sussultante verità e bellezza (che nello scrittore siciliano così spesso vanno a braccetto): "La fortuna delle detective-stories non ha forse altra origine se non nel fatto che, essendo la Creazione tutta, e le nostre vite con essa, un mistero a cui manca lo svelamento finale, leggere un giallo dove il colpevole è smascherato ogni volta, ce ne risarcisce e consola".
Roberto Barbolini è un narratore che predilige il comico, il visionario e il fantastico. Ha lavorato con Giovanni Arpino al Giornale di Indro Montanelli, è stato redattore e critico teatrale di Panorama, si è occupato di gialli e di poesia erotica. Attualmente collabora al QN-Quotidiano nazionale e a Tuttolibri. Ha pubblicato numerosi romanzi, saggi e raccolte di racconti, tra cui La strada fantasma (1991, vincitore del premio Dessì), Il punteggio di Vienna (1995), Piccola città bastardo posto (1998), Stephen King contro il Gruppo 63 (1999), Ricette di famiglia (2011), L’uovo di colombo (2014), Vampiri conosciuti di persona (2017) Il maiale e lo sciamano (2020).
Autore: Roberto Barbolini
Editore: Bibliotheka
Pagine: 200
Anno di pubblicazione: 2024
Prezzo copertina: 16,00 €
Recensione a cura di Mario Turco
Con uno scavo colto, letterario e bibliofilo quasi altrettanto scintillante, "Il detective difettoso. Ritorno al futuro per il romanzo poliziesco", di Roberto Barbolini e pubblicato da Bibliotheka Edizioni, tocca tangenzialmente questa intuizione e ne fa motore primo di un'indagine allo stesso tempo rabdomantica e loica che appare come uno dei fiori più preziosi della recente saggistica che a vario titolo si è espressa su questa letteratura. Come ben riassume la quarta di copertina, infatti, "fin dalle sue origini il romanzo giallo ha potuto contare, oltre che su fedelissimi lettori, su ammiratori d'eccezione, critici e scrittori - da Eliot a Gadda, da Yates a Brecht - che ne hanno svelato la logica simulatoria e i legami con la letteratura alta o ne hanno utilizzato la formula". Con questo pregevole e agile saggio di 200 pagine, Barbolini prova allora a rintracciare alcuni dei motivi di questa fortuna critica partendo però dall'originalità di una sua teoria, ovvero quella del "detective difettoso". In una Prefazione che è, in una maniera raffinata e accattivante, un memoir poetico, l'autore rintraccia la scintilla della sua tesi in un aneddoto personale risalente all'estate del 1989, quando sulla spiaggia di Cattolica la dicotomia fisica, prima che stilistica, tra il malmostoso James Ellroy e l'insignificante Toby Peters, gli suggerì l'idea che dopo il detective sublime alla Sherlock Holmes il poliziesco fosse adesso guidato da quello difettoso, ovvero personaggi con difetti evidenti, fisici e soprattutto anche morali. "Capostipite degl'investigatori difettosi", scrive infatti Barbolini, "è probabilmente il cieco Max Carrados ideato nel 1914 dallo scrittore inglese Ernest Bramah, che ne narrò le avventure in romanzi definiti dal giovane Borges “abili e mediocri”. Poi fu la volta dell'ispettore Allhoff di D.L. Champion, costretto su una sedia a rotelle come [più tardi, negli anni sessanta] l'Ironside di Jim Thompson".
Il detective difettoso. Ritorno al futuro per il romanzo poliziesco non compie però la rigida tassonomia di un accademico di professione perché, pur facendosi guidare da una competenza di genere in grado di soddisfare anche l’esigente esegeta, procede per balzi creativi quasi sempre riusciti e spesso deliziosamente sorprendenti. Si veda, oltre alla citata libera introduzione, il primo capitolo, denominato “L’esercizio necessario per gli organi più delicati. Dal sublime al Terrore e ritorno”. Qui Barbolini compie un’intensa e coesissima panoramica sull’estetica del “sublime” che tanto segnò l’antenato più caratterizzante per il poliziesco, ovvero il romanzo gotico. Con linguaggio finemente ironico – ci sono tante di quelle perle che è impossibile sceglierne una - e padrone della materia trattata, lo scrittore emiliano per tutto il suo saggio riflette con gusto sulla vitalità del giallo mostrando come anche i suoi limiti più evidenti – le costruzioni asfittiche dell’ “enigma della camera chiusa”, la razionalità irrealistica e apatica dei suoi detective più celebri, l’orizzonte di aspettative che deve soddisfare, - siano stati assorbiti dai suoi esponenti più intelligenti, facendo loro superare anche l’altrettanto riduzione schematica della letteratura alta. Perché, come icasticamente riassunse Raymond Chandler, se è vero che “Hammett ha restituito il delitto alla gente che lo commette per ragioni concrete, e non semplicemente per fornire un cadavere ai lettori”, è altrettanto doveroso che il ritorno al futuro del poliziesco debba passare dall’affrancamento dell’impegno a tutti i costi. Il finale del saggio è, un’ultima volta, illuminante: “Questa identità vagabonda, che ha sempre continuato a serpeggiare in aspetti apparentemente marginali del genere (dall’ humour al melodramma, dalla parodia al paradosso morale) costituisce la sua riserva d’inventiva, una volta ceduti gli incanti logici alle dissertazioni vampiresche degli scienziati della letteratura. Stare ai margini, come il diavolo degli antichi racconti; liberare il fantastico lavorando su elementi – dal gotico al comico – non egemoni nella tradizione del poliziesco. È la scommessa che può infine far trionfare, dopo l’era degli investigatori olimpici e di quelli avvelenati, il riso sapiente del detective sublime”.