Titolo: L'ostaggio. Il primo memoir di un ostaggio israeliano
Autore: Eli Sharabi
Editore: Newton Compton
Pagine: 288
Anno di pubblicazione: 2025
Prezzo copertina: 12,90 €
Eli Sharabi, ex ostaggio israeliano rapito il 7 ottobre 2023 dal kibbutz Be’eri e detenuto per 491 giorni da Hamas, è oggi un attivista internazionale per la liberazione degli ostaggi. Ha condiviso la sua storia in sedi prestigiose come le Nazioni Unite, incontrato leader mondiali. Questo memoir è il primo libro di un ostaggio israeliano liberato, è il bestseller più venduto in ebraico ed è in corso di pubblicazione in tutto il mondo. Nato a Tel Aviv da genitori yemeniti e marocchini, ha vissuto a Be’eri con la sua famiglia e ha ricoperto ruoli dirigenziali nel kibbutz e in aziende israeliane. Continua a impegnarsi attivamente nella causa degli ostaggi.
Autore: Eli Sharabi
Editore: Newton Compton
Pagine: 288
Anno di pubblicazione: 2025
Prezzo copertina: 12,90 €
Acquista su Amazon: https://amzn.to/437n5Hu
Recensione a cura di Luigi Pizzi
L'ostaggio di Eli Sharabi è un libro che non si legge: si attraversa, come si attraverserebbe un incubo con la consapevolezza che, alla fine, non ci sarà alcun risveglio. È una testimonianza che colpisce per la sua lucidità spietata, un racconto che non cerca pietà né indulgenza ma che mette il lettore di fronte all’essenza stessa della sopravvivenza. Fin dalla prima pagina si avverte che questa non è solo una storia personale, ma il resoconto di un frammento di umanità spezzata e ricomposta con le sole armi della memoria e della parola. Sharabi racconta la propria prigionia con una freddezza che taglia più di qualsiasi grido. L’attacco al kibbutz di Be’eri, la cattura, la perdita immediata e irreparabile della moglie e delle figlie: tutto avviene in poche righe, quasi senza commento, come se il dolore fosse troppo grande per poter essere contenuto dal linguaggio. Poi inizia la lunga discesa nella prigionia, nei tunnel scavati nella roccia, nei corridoi senza luce, in quella sospensione del tempo in cui il corpo diventa solo un mezzo per resistere. Le catene, la fame, le torture non sono descritte per scioccare, ma per mostrare la lenta, quotidiana trasformazione dell’essere umano in qualcosa che si rifiuta di morire.
C’è un equilibrio straordinario tra il rigore del racconto e la sua intensità emotiva. Sharabi non cerca di trasformarsi in un simbolo o in un eroe; rimane sempre un uomo, con le sue paure, i suoi cedimenti, la sua disperata lucidità. Le sue parole non hanno mai il tono del lamento, ma quello di una testimonianza necessaria. Ogni pagina è intrisa di una dignità che disarma: il dolore è presente, ma non domina; ciò che prevale è la volontà di non lasciarsi cancellare. La forza del libro sta nella sua semplicità. Non ci sono artifici letterari né costruzioni drammatiche: la scrittura è asciutta, quasi cronachistica, ma proprio per questo diventa più potente. Ogni dettaglio — un pezzo di pane stantio, il suono di passi che si avvicinano, la voce roca di un compagno di prigionia — costruisce un mondo chiuso, claustrofobico, dove la realtà è ridotta all’essenziale. E in mezzo a questo inferno, Sharabi riesce a trovare ancora il modo di osservare, di pensare, di immaginare un futuro possibile. L’elemento più sorprendente de L'ostaggio è la totale assenza di odio. Anche quando racconta la violenza, l’autore non si lascia trascinare dalla vendetta o dall’amarezza. C’è piuttosto un interrogarsi continuo su cosa resti dell’uomo quando gli viene tolto tutto: la libertà, la famiglia, la speranza. Il libro non offre risposte, ma mostra con chiarezza che la dignità, la memoria e la parola possono sopravvivere a qualsiasi orrore. In questo senso, L'ostaggio non è solo il racconto di una prigionia, ma una riflessione profonda sulla condizione umana. Le pagine dedicate al ritorno sono forse le più devastanti. Non c’è trionfo, non c’è gioia: solo il peso insostenibile di ciò che si è perso e la consapevolezza di essere cambiati per sempre. Il mondo che Sharabi ritrova è lo stesso, ma lui non lo è più. La libertà, dopo tanto dolore, non appare come una conquista ma come un’altra forma di prigionia, perché porta con sé il compito più difficile: ricordare. Alla fine, L'ostaggio lascia una sensazione di silenzio profondo. Non è un libro che consola, né che si lascia dimenticare. È un atto di testimonianza pura, scritto con la precisione di chi sa che raccontare è l’unico modo per restare vivi. È una lettura dura, necessaria, che costringe a guardare l’orrore ma anche la forza straordinaria di un uomo che, dentro quel buio, ha continuato a scegliere la vita.
L'ostaggio di Eli Sharabi è un libro che non si legge: si attraversa, come si attraverserebbe un incubo con la consapevolezza che, alla fine, non ci sarà alcun risveglio. È una testimonianza che colpisce per la sua lucidità spietata, un racconto che non cerca pietà né indulgenza ma che mette il lettore di fronte all’essenza stessa della sopravvivenza. Fin dalla prima pagina si avverte che questa non è solo una storia personale, ma il resoconto di un frammento di umanità spezzata e ricomposta con le sole armi della memoria e della parola. Sharabi racconta la propria prigionia con una freddezza che taglia più di qualsiasi grido. L’attacco al kibbutz di Be’eri, la cattura, la perdita immediata e irreparabile della moglie e delle figlie: tutto avviene in poche righe, quasi senza commento, come se il dolore fosse troppo grande per poter essere contenuto dal linguaggio. Poi inizia la lunga discesa nella prigionia, nei tunnel scavati nella roccia, nei corridoi senza luce, in quella sospensione del tempo in cui il corpo diventa solo un mezzo per resistere. Le catene, la fame, le torture non sono descritte per scioccare, ma per mostrare la lenta, quotidiana trasformazione dell’essere umano in qualcosa che si rifiuta di morire.
C’è un equilibrio straordinario tra il rigore del racconto e la sua intensità emotiva. Sharabi non cerca di trasformarsi in un simbolo o in un eroe; rimane sempre un uomo, con le sue paure, i suoi cedimenti, la sua disperata lucidità. Le sue parole non hanno mai il tono del lamento, ma quello di una testimonianza necessaria. Ogni pagina è intrisa di una dignità che disarma: il dolore è presente, ma non domina; ciò che prevale è la volontà di non lasciarsi cancellare. La forza del libro sta nella sua semplicità. Non ci sono artifici letterari né costruzioni drammatiche: la scrittura è asciutta, quasi cronachistica, ma proprio per questo diventa più potente. Ogni dettaglio — un pezzo di pane stantio, il suono di passi che si avvicinano, la voce roca di un compagno di prigionia — costruisce un mondo chiuso, claustrofobico, dove la realtà è ridotta all’essenziale. E in mezzo a questo inferno, Sharabi riesce a trovare ancora il modo di osservare, di pensare, di immaginare un futuro possibile. L’elemento più sorprendente de L'ostaggio è la totale assenza di odio. Anche quando racconta la violenza, l’autore non si lascia trascinare dalla vendetta o dall’amarezza. C’è piuttosto un interrogarsi continuo su cosa resti dell’uomo quando gli viene tolto tutto: la libertà, la famiglia, la speranza. Il libro non offre risposte, ma mostra con chiarezza che la dignità, la memoria e la parola possono sopravvivere a qualsiasi orrore. In questo senso, L'ostaggio non è solo il racconto di una prigionia, ma una riflessione profonda sulla condizione umana. Le pagine dedicate al ritorno sono forse le più devastanti. Non c’è trionfo, non c’è gioia: solo il peso insostenibile di ciò che si è perso e la consapevolezza di essere cambiati per sempre. Il mondo che Sharabi ritrova è lo stesso, ma lui non lo è più. La libertà, dopo tanto dolore, non appare come una conquista ma come un’altra forma di prigionia, perché porta con sé il compito più difficile: ricordare. Alla fine, L'ostaggio lascia una sensazione di silenzio profondo. Non è un libro che consola, né che si lascia dimenticare. È un atto di testimonianza pura, scritto con la precisione di chi sa che raccontare è l’unico modo per restare vivi. È una lettura dura, necessaria, che costringe a guardare l’orrore ma anche la forza straordinaria di un uomo che, dentro quel buio, ha continuato a scegliere la vita.
Acquista su Amazon: https://amzn.to/437n5Hu
Eli Sharabi, ex ostaggio israeliano rapito il 7 ottobre 2023 dal kibbutz Be’eri e detenuto per 491 giorni da Hamas, è oggi un attivista internazionale per la liberazione degli ostaggi. Ha condiviso la sua storia in sedi prestigiose come le Nazioni Unite, incontrato leader mondiali. Questo memoir è il primo libro di un ostaggio israeliano liberato, è il bestseller più venduto in ebraico ed è in corso di pubblicazione in tutto il mondo. Nato a Tel Aviv da genitori yemeniti e marocchini, ha vissuto a Be’eri con la sua famiglia e ha ricoperto ruoli dirigenziali nel kibbutz e in aziende israeliane. Continua a impegnarsi attivamente nella causa degli ostaggi.





















