Recensione a cura di Mario Turco
In questa riscrittura larga ciò che però è inevitabile che venga sacrificato è proprio il materiale di partenza. Non tanto per la scelta di cancellare gli altri personaggi del romanzo melvilliano (gli accenni alla morte sacra di Queequeg o il rifiuto di aiutare, quasi con blasfemia, il capitano della Rachele nella ricerca di suo figlio per concentrarsi invece solo sulla caccia al terribile capodoglio sono comunque ravvisabili solo a chi ha letto il libro) concentrandosi solo sui due protagonisti Achab e Ismaele, quanto per l’elisione di parte importante del materiale di partenza. Dell’epico titanismo contro la Natura avversa rimane solo il celebre “Non parlarmi di empietà, uomo: colpirei pure il sole se mi offendesse”; per il resto Achab ha il difetto di comparire forse troppo presto in scena (e per di più in un dialogo) senza che la sua figura leggendaria venga pre-annunciata come nel libro dai racconti degli altri componenti della nave. Il merito però di “Moby Dick- La bestia dentro” è quello di indovinare l’attore che interpreta proprio Achab. Il direttore artistico del Teatro del Loto Stefano Sabelli lo impersona con una recitazione energica, senza paura degli eccessi, in una performance fisica e urlante in cui miracolosamente riesce a conservare la voce sino alla fine. Davvero notevole, ad esempio, la scena in cui inseguendo Moby Dick si staglia sulla prua della nave con una faccia diabolica contornata da forti luci di scena e imprecando a tutto spiano sulla malvagità di quell’essere semi-immortale. Fin troppo impostato è invece il suo contraltare scenico, l’Ismaele interpretato dal giovane Gianmarco Saurino, figlio di una recitazione classicheggiante che andrebbe svecchiata nei modi. Spiace solo che “Moby Dick- La bestia dentro” duri appena un’ora e venti (ma senza pause, complimenti agli attori) perché l’idea di partenza e il romanzo originale avrebbero meritato sicuramente una scrittura più grandiosa, terribile e folle, come il capodoglio omonimo.