La recensione dello spettacolo “Moby dick- La bestia dentro”, regia di Davide Sacco

Recensione a cura di Mario Turco

Il titolo della riscrittura che esplicita ed amplia ciò che era implicito ma non per questo meno evidente nell’originale: “Moby dick- La bestia dentro” con la regia di Davide Sacco in scena al Teatro Vascello di Roma fino a questa sera inizia e finisce il senso della sua operazione sin da subito. Primo appuntamento autunnale di una lunga tournèe che lo porterà in giro per tanti teatri d’Italia, da Napoli a Pescara a Firenze, lo spettacolo si presenta già rodato da una lunga preparazione e pronto per esser replicato con successo. A partire dall’avvolgente scenografia che costruisce nel bel mezzo del palco la tolda del Pequod in scala ovviamente ridotta, la celebre baleniera co-protagonista dell’immensa opera di Herman Melville (e chi non l’avesse ancora fatto vada a leggere subito uno dei capisaldi della narrazione occidentale, esito ed inizio della nostra cultura), l’intento dell’opera di Sacco è quello di coinvolgere gli spettatori in un discorso teatrale ampio che, partendo dal tragico personaggio di Achab e della sua lotta epica contro il Male Bianco, tracci i confini del suo dolore grazie anche all’ausilio di precedenti letterari famosi. Ed ecco allora che il capitano della baleniera può permettersi di chiarire il suo senso estetico recitando con enfasi le teorie di Artaud sull’arte, che può arrabbiarsi col mozzo Ismaele attraverso le arrembanti parole di Shakespeare o appartarsi in solitudine sulla sua cabina lasciandosi andare al monologo di Moliere. Insomma, in un’ora e venti di spettacolo l’ambizioso intento del giovane regista di “Moby Dick- La bestia dentro” è quello di una narrazione sul male di vivere tout court dell’uomo occidentale. 

In questa riscrittura larga ciò che però è inevitabile che venga sacrificato è proprio il materiale di partenza. Non tanto per la scelta di cancellare gli altri personaggi del romanzo melvilliano (gli accenni alla morte sacra di Queequeg o il rifiuto di aiutare, quasi con blasfemia, il capitano della Rachele nella ricerca di suo figlio per concentrarsi invece solo sulla caccia al terribile capodoglio sono comunque ravvisabili solo a chi ha letto il libro) concentrandosi solo sui due protagonisti Achab e Ismaele, quanto per l’elisione di parte importante del materiale di partenza. Dell’epico titanismo contro la Natura avversa rimane solo il celebre “Non parlarmi di empietà, uomo: colpirei pure il sole se mi offendesse”; per il resto Achab ha il difetto di comparire forse troppo presto in scena (e per di più in un dialogo) senza che la sua figura leggendaria venga pre-annunciata come nel libro dai racconti degli altri componenti della nave. Il merito però di “Moby Dick- La bestia dentro” è quello di indovinare l’attore che interpreta proprio Achab. Il direttore artistico del Teatro del Loto Stefano Sabelli lo impersona con una recitazione energica, senza paura degli eccessi, in una performance fisica e urlante in cui miracolosamente riesce a conservare la voce sino alla fine. Davvero notevole, ad esempio, la scena in cui inseguendo Moby Dick si staglia sulla prua della nave con una faccia diabolica contornata da forti luci di scena e imprecando a tutto spiano sulla malvagità di quell’essere semi-immortale. Fin troppo impostato è invece il suo contraltare scenico, l’Ismaele interpretato dal giovane Gianmarco Saurino, figlio di una recitazione classicheggiante che andrebbe svecchiata nei modi. Spiace solo che “Moby Dick- La bestia dentro” duri appena un’ora e venti (ma senza pause, complimenti agli attori) perché l’idea di partenza e il romanzo originale avrebbero meritato sicuramente una scrittura più grandiosa, terribile e folle, come il capodoglio omonimo.

LIBRI & CULTURA CONSIGLIA...